Lc 18,9-14
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Così scrive san Giovanni Paolo II: “Il pubblicano poteva forse avere qualche giustificazione per i peccati commessi, tale da diminuire la sua responsabilità. Non è però su queste giustificazioni che si sofferma la sua preghiera, ma sulla propria indegnità davanti all’infinita santità di Dio: «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc 18,13). Il fariseo, invece, si è giustificato da solo, trovando forse per ognuna delle sue mancanze una scusa. Siamo così messi a confronto con due diversi atteggiamenti della coscienza morale dell’uomo di tutti i tempi. Il pubblicano ci presenta una coscienza «penitente», che è pienamente consapevole della fragilità della propria natura e che vede nelle proprie mancanze […] una conferma del proprio essere bisognoso di redenzione. Il fariseo ci presenta una coscienza «soddisfatta di se stessa», che si illude di poter osservare la legge senza l’aiuto della grazia ed è convinta di non aver bisogno della misericordia. A tutti è chiesta grande vigilanza per non lasciarsi contagiare dall’atteggiamento farisaico”. (San Giovanni Paolo II, Veritatis Spendor, nn. 104-105).
Suor Stella Maria psgm
