DOMENICA IN PAROLE, NOTE E COLORI – a cura di don Giammaria Canu

K. Haring, L’albero della vita (1985).

Estrattori di bene.

Quanto bisogno di bontà c’è in giro. Che belle quelle persone buone, amorevoli, abbraccianti, quelle con cui sai che saresti bene sempre e dappertutto. Che tirano fuori dai loro scrigni sempre qualcosa di prezioso per nutrire di bene anche chi ha la fortuna di incrociarli per strada per caso. Sono miniere di bontà, giacimenti inesauribili di bellezza, nidi al cui calore è facile guarire dalle malattie del cuore. Io ne conosco parecchie e le frequento spesso! C’è da chiedersi da quale pianeta vengono queste “persone medicina” (Gio Evan), queste “persone miracolo”, queste “persone tisana”?

Il vangelo di domenica non ci dà la risposta, ma parla di maestri, guide, ciechi, fratelli, alberi e uomini buoni. A me sembra che voglia dirci che non c’è nessuna galassia speciale in cui proliferano queste persone buone, ma che semplicemente hanno scoperto il trucco: la docilità dell’affidarsi alla bontà. Non si può essere maestri senza esser stati prima discepoli presi in carico da un buon maestro. Non si è guida senza prima essersi fidati di qualcuno che ci ha presi per mano senza imbrogliarci. Non si sopravvive da ciechi senza affidarsi agli occhi di chi ci vede e ci vuole bene. Non si è fratelli senza affidare una parte del cuore alla presenza di almeno un altro con cui condividere la bontà di un padre e di una madre. Non si è alberi buoni senza che ci si fidi della linfa che le radici attingono dal suolo e d’altro canto non si è uomini buoni senza che ci si fidi della promessa di bene che è nascosta nel tesoro del nostro cuore. In tutti questi riposa la certezza che se vai ad estrarre il bene dal «buon tesoro del tuo cuore», il bene non si esaurirà mai: nella miniera del cuore Dio è sempre in produzione!

Il segreto, quindi, è nel cuore. E vince il cuore che azzecca il terreno su cui affondare le sue radici. Per questo si dice che l’uomo buono è un albero capovolto con radici in cielo e frutti qui in terra.

Eccoci qua: se prendersi cura del proprio cuore è il modo più fecondo di vincere la vita e produrre frutti, allora la docilità è un’arte preziosa perché offre al cuore l’opportunità di dipendere da altri cuori, di attingere da altri tesori, di lasciarsi plasmare da chi lo arricchisce di grazia inesauribile.

Questo vuol dire che le persone buone non sono quelle perfette, ma quelle affidate. Non quelle arrivate, ma quelle pellegrinanti. Non quelle impeccabili, ma quelle perdonate. Non quelle autonome, ma quelle obbedienti all’amore. Si può leggere così anche la metafora della pagliuzza e della trave: «come puoi dire al tuo fratello: “fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che nel tuo occhio?». Se veramente desidero estrarre il bene dal fratello, tirando via la pagliuzza che tanto gli infastidisce l’occhio, devo prima sentire l’intervento potente di qualcuno che ha tolto la trave pesante che schiaccia il mio occhio. Nella vita profonda funziona che solo chi ha sentito un amore immenso è capace di replicare quell’amore. Solo se ci vedi bene, sei capace di intervenire sulla pagliuzza dell’occhio del fratello. Ma per vederci bene devi lasciare che qualcuno di grande scansi la trave dal tuo occhio: perdonati, possiamo perdonare; amati, possiamo amare; pacificati, possiamo pacificare. E questo perché, davanti all’amore di Dio, al sommo Bene, siamo sempre imperfetti, “deficienti”, piccini, sempre con travi mastodontiche da spostare.

C’è poi la questione del frutto. L’albero è a servizio della vita in maniera esagerata, sprecona, prodiga e generosissima: ogni autunno sparge un’infinità di semi e quando arriva il tempo della raccolta prepara tantissimi frutti. Chissà quanti frutti cadono e marciscono. E lui non gode nemmeno di uno di essi… eppure continua a farli, aspettando che qualcuno ne goda la dolcezza. È la sua natura. Sta bene solo così. Anche l’uomo, dice Gesù funziona così: per star bene deve dare vita, seminare bontà, esagerare in amore. Ad ognuno è chiesto proprio questo: coltivare, curare, custodire il frutteto del proprio cuore e portare frutti buoni. Sapendo che un albero bello e maturo non è quello senza difetti, ma quello piegato, curvo, rannicchiato dal peso dei suoi tanti frutti.

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Contempla: K. Haring, L’albero della vita (1985).

Questa icona pop che riscrive il tema tradizionale dell’albero della vita innesta gioia, danza e colori al significato della vita interconnessa, in comunione, i cui buoni frutti non smettono di contagiare vita, movimento e musica.

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Ascolta: Cristicchi, Lo chiederemo agli alberi

Lo chiederemo agli alberi/ Come restare immobili/ Fra temporali e fulmini

Invincibili/ Risponderanno gli alberi/ Che le radici sono qui/ E i loro rami danzano/ All’unisono verso un cielo blu

Se d’autunno le foglie cadono/ E d’inverno i germogli gelano/ Come sempre, la primavera arriverà/ Se un dolore ti sembra inutile/ E non riesci a fermar le lacrime/ Già domani un bacio di sole le asciugherà

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Chiediti: mi fermo a gustare Dio che si prende cura dei miei frutti di bene con tanto interesse e amore.

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