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DI DOMENICA IN DOMENICA - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 4 aprile 2021


La settimana più umana di Dio.


Gesù entra a Gerusalemme e in ogni vita a cavallo di un asinello. Non cerca accesso privilegiato, non sfonda porte e soprattutto non pretende che i suoi capiscano che Dio è Dio perché si occupa della sfida eterna tra il male e la verità, tra la morte e l’amore, tra le tenebre e la luce. E per questa lotta c’è bisogno di un asinello e non di un solenne destriero. Si lascia osannare e sogghigna sentendo dalla loro bocca “osannah”, ma già ascoltando nel loro cuore “crocifiggilo!”.

In questa Settimana c’è tutto il cristianesimo e tutto del cristianesimo è vano senza questa Settimana. Anzi, tutto il cristianesimo che viviamo nel resto dell’anno, è come una preparazione e una frequentazione costante di questa Settimana, come un tornare alla fonte per attingere acqua fresca. Più è viva la nostra presenza davanti alla Croce e dentro il Sepolcro vuoto, più Vita riusciremo a seminare nella nostra vita. Ma cosa c’è in gioco in questa Settimana? Un fidanzamento, un matrimonio e un parto.

Questa è la settimana in cui si assiste al fidanzamento definitivo tra Gesù e l’uomo. L’uomo vero, quello reale, non quello che Dio avrebbe voluto fin dai tempi dell’Eden. È il battesimo di Gesù sul fiume dell’umanità. È l’atto estremo dell’innamoramento di Gesù con la realtà umana cruda, nuda e purificata da ogni orpello che ne maschera o travisa le potenzialità. Dalla croce il cuore umano è smascherato. I riflettori del Crocifisso puntano e rivelano fino a che punto ciò che è dentro l’uomo è capace di rifiutare amore e abbracciare il male… e chi si dovesse sentire irreperibile a quei riflettori, scagli per primo la pietra su Dio accusandolo di essersi innamorato della realtà sbagliata! Quella carne organizzata a decidersi per il male è parte integrante dell’unica realtà dove si scrivono le nostre storie: non c’è altro mondo (ideale) in cui è consentito vivere. Il fidanzamento pasquale di Gesù con questa materia oscura è l’atto estremo di riaccendere la realtà, quella che Dio ha creato con un’unica direzione: l’eternità che è frutto delle scelte d’amore (“alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”, san Giovanni della Croce a commento di Mt 25).

È poi la Settimana del matrimonio di Dio con l’umanità ferita, oltraggiata, sputata, crocifissa. Dio sposa la fragilità umana e come ogni atto divino, è un matrimonio eterno, un fatto che ricompare sul palcoscenico della storia ad ogni segno di ferita umana, dalle persecuzioni imperiali ad Auschwitz, dalla lapidazione di Stefano ad ogni tradimento, dai roghi dell’Inquisizione ai tumori dei bambini (la forma più crudele di sofferenza umana, secondo Dostoevskij). La promessa di Dio non è quindi una polizza sui danni che l’uomo può subire dalla vita, ma la proposta di un’alleanza. Non elimina le prove, ma tende la mano per togliere al male la presa sul cuore umano. Questo matrimonio si celebra al Getzemani quando Gesù abbraccia il calice della passione: «però non la mia, ma la tua volontà sia fatta». Non si capisce com’è che il male, il dolore e il fallimento convincono più della luce che presenta sempre argomentazioni più deboli, più miti e facilmente calpestate dalle violente urla del buio. Il matrimonio del Getzemani è la promessa di Dio a non scappare, a non abbassare le armi, a restare, rischiare e investire sulla fioca luce capace di squarciare il buio più pesto e infernale. «Dal Cuore trafitto del Crocifisso sgorga un sangue capace di spegnere le fiamme dell’Inferno» (Edith Stein) e «dopo quel gesto d’amore di padre Massimiliano Kolbe, anche Auschwitz è diventato meno infernale», racconta un ebreo che ha visto padre Kolbe prendere il posto del papà di famiglia per essere giustiziato.

È infine è la Settimana del parto. Solo una mamma, un padre, un fratellino (e anche un mio amico down!) quando guardano il pancione vedono già col cuore chi sta lì dentro nascosto. La tomba nuova, vergine, mai usata è come il ventre della Vergine. La testa dice: «non è possibile, non conosco uomo (che sia mai risorto)», tutto è finito. Il cuore suggerisce: aspetta, resta, spera. E al cuor non si comanda, si obbedisce! Ed è così che alvus tumescit virginis: il ventre vergine lievita e solo chi ama può trovare il sepolcro vuoto, la morte sconfitta e la Vita vera nata per non morire mai più (Chiara Corbella).


don Giammaria Canu



J. Hegenbarth, Gesù è deposto nel sepolcro (1960).

Così commenta von Balthasar quest’ultima stazione della Via Crucis: «domani è già Sabato Santo, il giorno in cui Dio è morto, il giorno senza Dio. Nessun anno liturgico lo può saltare. È il giorno in cui i liturgisti sono disorientati e il respiro della Chiesa è sospeso. È il giorno che, attraverso l’inferno, per tutti i sentieri del mondo, conduce dove non c’è fine, poiché quale altra via dovrebbe condurre alla vita eterna?

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