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DI DOMENICA IN DOMENICA - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 27 giugno 2021


Dio non è il dio della tempesta, ma è Dio nella tempesta.


… e quando senti la terra che trema sotto i piedi o la barca sballottata dalla tempesta, vorresti che Dio cambiasse mestiere: che dismettesse tutto il suo menefreghismo e si occupasse in maniera più attenta della nostra sicurezza.

Ci risiamo: l’ansia dell’uomo è quella della sicurezza. Punto. C’è come una molla che lo riporta sempre ad insistere sull’esteriore, sull’episodico, sul contingente e lo distrae (distrazione puramente animalesca, direbbe il buon Pascal) da ciò che maggiormente conta, vale e rende umano il nostro stare nel mondo: il cuore. Questo fascio di muscoli ospitato nel nostro torace per l’uomo della Bibbia è il quartier generale delle battaglie umane, quelle battaglie che custodiscono l’umanità di ciascuno dagli attacchi delle infinite paure quotidiane e allo stesso tempo è capace di lanciare l’uomo oltre ogni ostacolo, sognando, desiderando e scegliendo le cose azzeccate.

La cosa decisiva è rendersi conto che non tutto è progettabile per il cuore umano. La stessa nostra sicurezza non è progettabile e anzi, conosco persone che ormai sono talmente maltrattate dalla vita che hanno paura di vivere dei momenti sereni e pacati perché proprio in quei momenti si affaccia inesorabile il terrore che possano finire presto. Bisogna progettare, certo, perché non si vive a caso, ma la nostra vita è testimone che è molto più facile che accada l’improgettabile. Per esempio, io non posso progettare di innamorarmi. Si può progettare che domani andremo a fare la spesa, ma l’innamorarsi è improgettabile. Come non si può progettare di convertirsi, o, peggio ancora, di convertire il proprio figlio a colpi di “doverismo”: «devi andare a Messa!». La realtà è infinitamente più grande dei nostri progetti. Come Giuda, lo zelota, che, come tutti gli zeloti, aspettavano un Messia capo politico che sbaraglia persino l’esercito romano. Poi Giuda diventa amico di Gesù e capisce che il suo progetto con quell’uomo di Nazaret che diceva di amare i nemici era decisamente fallimentare e allora fa una scelta: preferisce restare legato al suo progetto, piuttosto che riconoscere l’immensità del progetto che portava Gesù. Giuda tradisce Gesù non perché lo odiava, ma perché amava il suo progetto più di ogni proposta di salvezza. Il problema è essere liberi dal progetto, perché sempre, e dico sempre, il progetto o non si realizza o si realizza in modalità infinitamente lontane da come lo avevamo progettato.

Chissà che progetti avevano i discepoli in quella notte di tempesta sulla barca con Gesù a bordo addormentato. Avranno visto il film dei loro progetti volatilizzarsi: «siamo perduti!». Sarebbe bello un sondaggio sul Vangelo di domenica scorsa: quanti dei preti e predicatori (me compreso!) hanno utilizzato lo slogan: «Gesù non ci salva dalla tempesta, ma ci salva nella tempesta!»? È decisivo riconoscere che fede è quella che percepisce Dio non come una polizza sanitaria contro ogni pericolo di malattia, ma come un alleato che mai lascerà che io venga distrutto completamente: niente potrà demolire il mio cuore, neanche il peggiore dei tradimenti o dei peccati. Si dovrebbe insistere molto sulle capacità della fede di riconoscere Dio presente nelle bufere. Forse di fronte ad una religiosità fai da te impastata di credenze, patti sacrificali, demonologia confusa e devozioni senza un briciolo di Parola di Dio, Gesù propone il suo Dio nella tempesta, apparentemente addormentato, ma decisivamente operante: «taci».

Domenica scorsa e domenica prossima è chiara la promessa di Dio nascosta dietro ogni crisi, ogni sofferenza, ogni scossone e bufera della vita: «io non lascerò che neanche un figlio si perda (parafrasi da Gv 17,12: «nessuno di loro è andato perduto»)», oppure per dirla col Dio di Giobbe che impone al mare e ad ogni nemico dell’uomo: «fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde» (Gb 38,11). Se il male grida forte e (pre)potente contro l’uomo, Dio ha sempre un grido molto più alto. È il grido di Gesù che, abbandonato anche dal Padre, muore e risorge per noi ma soprattutto con noi. In teologia esiste un grande dibattito attorno all’immagine di Gesù che muore per noi. Credo che la pista di risposta più valida sia quella che trasforma il per noi in con noi. Per concludere con Agostino: «Dio che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te. Ha creato chi non era ancora presente e capace di conoscersi, ma salva solo chi è presente e lo sceglie».



don Giammaria Canu


Salvador Dalì, Il Cristo di san Giovanni della Croce (1951).

Dalì, prendendo spunto da san Giovanni della Croce, rappresenta un Crocifisso sospeso sul mondo, visto dalla prospettiva del Padre e chinato verso l’umanità sua amica che sta per salpare con la barca.

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