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DI DOMENICA IN DOMENICA - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 12 settembre 2021


Elogio della domanda.


Parto da una convinzione di fondo: il segreto più vero e più potente di una vita risiede nella profondità delle domande che la investono.

Occorre subito aver presente il concetto di domanda, che ad una certa età, dopo aver brancolato infinite volte nel buio del dubbio, inizia ad assumere delle tinte tragiche, stringenti, asfissianti, implacabili, impietose, ma irrinunciabili. E le domande più vere fanno veramente male! Sembra una massima alla quale i grandi uomini ci fanno il callo: più una domanda è dolorosa, più è vera e più è capace di pescare la mia umanità spesso soffocata da strati di vissuti superficiali, scontati, mediocri. Sarà per quello che il punto di domanda ha la forma di amo: proprio perché la domanda è una buona ostetrica che aiuta a pescare la verità dagli abissi. E come ogni parto, la verità viene alla luce con la sua buona dose di dolore. Sono un martirio le grandi domande, un tarlo che vorremmo strappare via e che invece scava. Più le fai tacere, più esse fanno capolino con un sorriso beffardo. Stanno spesso nascoste e silenziose per anni, ma sono delle grandi opportuniste: sempre pronte a risvegliarsi non appena la vita si accanisce contro di te, contro un parente o contro un amico. Ma in fondo è proprio la domanda l’unica sovrana delle vicende forti della vita: ci sono momenti, soprattutto quelli quando la ragione sembra spegnere la luce su tutto, in cui le parole non possono prendersi il lusso di restare senza punto interrogativo. In quei momenti di buio pesto, solo domande sanno mantenere il motore della vita acceso. Penso di non azzardare troppo se affermassi che la temperatura di umanità di una persona si misura dalla profondità delle domande che si (im)pone. È parte fondamentale dell’arte dell’educazione accompagnare chi cresce ad azzeccare le domande vere, a non fuggirle, ad aggiustarle, a custodirle gelosamente nelle camere segrete del cuore, a frequentarle anche se a volte morsicano. Insomma: dobbiamo imparare ad amare le domande. Se sono ben educate, sono la scorciatoia per far conoscere me a me stesso.

Non c’è domanda più profonda e tragica, più provocatoria e più decisiva di quel: «Adamo (“uomo”, in ebraico), dove sei?» di Genesi 3,9. È Dio che lo chiede ad Adamo (cioè io, tu, ogni uomo) nascosto dietro una foglia di fico, cioè dietro un dito. E gli chiede in fondo: dove è andata a finire la tua umanità? Dove hai nascosto la tua bellezza? Quanti chilometri sei lontano dal punto in cui ti ho creato e dal sentiero di felicità che ti avevo disegnato? Domanda che pesa come un macigno gettato sul fondo del lago e legato ad una corda al mio collo mentre annaspo per restare a galla. Tutti infatti sappiamo di essere stranieri cronici, mai comodi e sempre alla ricerca di a(A)ltro. Ma nella nostra “stranierità”, dubito di trovare un superuomo capace di una coscienza così alta, nobile e impeccabile da conoscere perfettamente le coordinate geografiche della sua posizione rispetto al progetto di Dio. E se anche esistesse quest’uomo (ripeto: sarebbe un “superuomo” venuto dalle laconiche intuizioni di Nietzsche), penso che o rimane imbalsamato (cioè morto) e felice di aver risolto per sempre l’enigma della sua esistenza, oppure si rilancia nella vita e sperimenta che la risposta data ieri non è valida oggi e necessita di un continuo ricalcolo: «dove sono, oggi?».

Ora, io credo che il Vangelo sia un aggiornamento di quella domanda fatta al primo uomo: da «uomo, dove sei?» a «chi è Gesù per me?». Le due domande si sovrappongono per intensità, per tragicità e anche per finalità: entrambe hanno la pretesa di cercare l’unica definizione possibile di “chi sono io”. La prima perché con dolore e impertinenza spinge l’uomo a smettere di avere come baricentro se stesso e lo de-finisce in base ai suoi contorni-limiti (fin dove posso arrivare?), alle sue relazioni (chi si prende cura di me? Chi ha affidato Dio alle mie cure?) e alle sue domande (cosa chiedo?); la seconda perché ha la pretesa di convincere ogni uomo che la vita ha senso perché c’è stato Gesù di Nazareth che ha promesso di donare la vita eterna.



don Giammaria Canu


Rembrandt, Geremia piange la distruzione di Gerusalemme (1630).

Il quadro è stato utilizzato per il celebre testo di Heschel, Chi è l’uomo, dove si definisce l’uomo come «un essere posto nel travaglio, ma che ha i sogni e i desideri di Dio».

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