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DI DOMENICA IN DOMENICA - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 19 settembre 2021


Ancora un elogio della domanda.


Il cristianesimo è un’arte. Necessita di cura, intelligenza, tempo e soprattutto speranza che ogni opera che ne viene fuori ha un riverbero eterno: se non credeva nell’eternità del suo capolavoro e nell’eternità delle persone che si sarebbero nei millenni affacciati ad ammirarlo, Michelangelo non avrebbe dipinto la Cappella Sistina. Per parlare di eternità è necessario un cuore che funzioni. Cani e androidi (ormai è nota la sigla AI: intelligenza artificiale) non possono percepire l’eternità, anzi, questi ultimi vanno in tilt tutte le volte che un umano immette un dato con il concetto di infinito.

Gesù non chiedeva sacrifici, rinunce o rispetto delle normative (dovremo accelerare il processo di spoliazione di questo stile di cristianità così fastidioso), ma chiedeva proprio di guardare alla vita come la guardano gli artisti, capaci, ciascuno col proprio cuore di rispondere al mondo che sempre parla, interroga, provoca a vedere oltre la siepe (Infinito di Leopardi). Gesù invita e sollecita sempre ad un di più, ad un “oltre”, ad un “più in là” («perché tutte le immagini portano scritto: “più in là”», Maestrale di Montale). E il mezzo di trasporto per navigare oltre la superficie è il cuore.

Domenica scorsa, la domanda «ma voi, chi dite che io sia?» ha morso il cuore, suonandogli la sveglia per mettersi in moto. Quella domanda, che la settimana scorsa abbiamo abbinato alla domanda di Dio: «Adamo, dove sei?», come tutte le domande è una scintilla che accende un fuoco interiore che non lascia tranquilli perché chiama in gioco il cuore, l’organo dell’arte e dell’amore, che non risponde a fotocopia o stampino, non si fida delle risposte date da altri, ma si mette in cammino per trovare una risposta originale, tutta e solo sua. Chi ha fatto esperienza forte di Dio, infatti, non può che rispondere: Tu sei il Messia, venuto non per dare una strisciata di gomma alle mie fatiche, ma per aiutarmi a dare voce al cuore innamorato di una certezza da artista: che la realtà non ha i confini del visibile, ma i confini di Dio. E il mio punto d’osservazione della realtà, così come il mio “sentimento di Dio” è unico, irripetibile, estremamente originale e personale, perché parte da domande, fatiche e una storia tutta e solo mia. Solo il mio cuore è capace di vedere le labbra eternamente aperte di Dio sulle mie angosce umane, la bocca sempre spalancata a seminare il Vangelo dell’amore anche là dove tutto sembra dover tacere per rispetto, perché Gesù è «l’amore che lotta e geme nel cielo, sulla terra e dentro ogni cuore amante» (Ronchi).

Domenica prossima la domanda sarà: «di che cosa stavate discutendo per la strada?». Che, ancora una volta infiamma il nostro cuore d’artista per leggere con profondità il desiderio di Dio: vedere i figli che camminano interrogandosi e si interrogano camminando. E noi, di cosa discutiamo per la strada, cosa anima i nostri incontri mentre corriamo nella vita, che strada prendono le nostre amicizie, per cosa ci alleiamo? Se non interviene il Vangelo a guastare e ad aggiustare le nostre domande di vita, si rischia di restare piccini, meschini, mediocri e accontentarci di chiacchierare su come poter schiacciare gli altri pur di emergere. È il Vangelo che, invece, antipaticamente interviene a mettere come punto di partenza dei miei discorsi la semplicità di quando ero bambino, la necessità di fidarsi delle braccia accoglienti e abbraccianti di chi mi ama, e la certezza che diventerò grande non solo in estensione, ma anche in profondità. Nella strada della vita occorre discutere delle poche cose che fanno di me un artista innamorato della vita più che degli spazi da occupare per ottenere medaglie. È sapiente andare alla ricerca di amici di strada coi quali sfidarsi nell’azzeccare le domande che fanno diventare artisti del “più in là”, come i “grandi uomini”, e non gli “uomini grandi”, estesi ma sottili, superficiali e facilmente frantumabili come uno strato fine di ghiaccio galleggiante su un lago invernale: non può sostenere il peso di una sola vita.



don Giammaria Canu


J. Ensor, Autoritratto con maschere (1899).

L’artista, al centro del quadro, guarda e interroga provocatoriamente lo spettatore e si presenta come l’unico essere umano, schiacciato da una folla di mostri, incapaci di trasmettere una seppur minima parvenza di umanità.

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