DI DOMENICA IN DOMENICA - a cura di don Giammaria Canu
Domenica, 26 settembre 2021
Diamoci un abbraccio e diamoci un taglio!
Un esercizio sapiente e fecondo è quello di rispondere spesso e aggiornare sempre la risposta alla domanda: che cosa mi ha salvato e mi salva veramente? Cioè: che cosa mi strappa dal nulla, dalla noia, dall’essere solo fotocopia? Che cosa mi fa sentire intero, unificato, centrato, continuamente riportato alla sintesi e all’originale? Che cosa recide, sfoltisce, smussa la mia vita da ciò che impedisce di sentirmi salvato, amato, guarito, unico, felice?
Di domenica in domenica, due immagini complementari mettono a tema questa domanda: l’abbraccio e la potatura. L’uno rappresenta l’unione con ciò che dà pienezza alla vita; l’altra suggerisce la decisione chiara e netta di chiudere i conti con ciò che ostacola la mia felicità.
Domenica scorsa il Vangelo ci ha lasciati con l’immagine potente, pro-vocatoria e tenera insieme, di Gesù che abbraccia un bambino, l’immagine cioè di un Dio che invoca, cerca, chiede l’abbraccio: «chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me». Lui, il Dio dell’abbraccio (Karl Jaspers lo chiamava l’Onniabbracciante!), sempre alla ricerca di essere ricambiato in abbracci. E l’abbraccio non è altro che trovare quella parte di mondo che mi manca, acchiappare, avvicinare e tenere stretta quella parte di vita che fa sentire completa la mia vita: «ci si abbraccia per ritrovarsi interi» (Alda Merini), come ad individuare in ogni abbraccio una nostalgia di interezza persa per strada lungo il cammino della vita. Ed è potente anche l’idea che l’abbraccio per essere tale deve essere contagioso, reciproco, corrisposto, tanto che corrisponde anche all’immagine di un unico corpo che non è più la somma di due parti, ma l’incontro di due interi che mantengono, anzi completano la propria identità proprio nel sentirsi assorbiti e integrati nell’identità dell’altro. Forse per questo l’abbraccio e la sua forma circolare è una delle immagini più usate per parlare del mistero della Trinità, il nostro Dio che completa la divinità nell’incontro tra tre persone intere e perfette. Ecco perché abbracciare ci fa stare divinamente!
Nel Vangelo di domenica prossima, l’immagine tragica del taglio: «se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala». Sempre per stare unificati, centrati, salvati, felici veramente è necessario tagliare i tentacoli che spesso ci servono per poter acchiappare, possedere più cose in contemporanea senza viverne pienamente e felicemente neanche una. È l’idea che spesso viviamo con doppi fini e non riusciamo a fermarci ad amare una cosa soltanto, anche con limiti e fatiche. Anzi, limiti e fatiche ci spingono spesso a chiudere le porte e aprirne altre sperando ci sia qualcosa di meglio in altre stanze, ma senza aver abitato pienamente neanche una stanza. Così non siamo persone, ma strategie: qualunque cosa faccio, in realtà tengo aperte infinite altre possibilità. È qui che si innesta e si nutre famelicamente il male e il demonio: il male ti vuole diviso (“dia-bolon” vuol dire il “divisore”), disordinato, caotico, sempre a zig zag tra le infinite possibilità della vita ma senza sceglierne una che ti unifichi, senza farti sostare ad amarne una che, anche se con fatica, ti fa sentire salvo, vero, giusto (nel senso di: la persona giusta, al posto giusto e nel modo giusto, proprio come l’aveva disegnato Dio). E attenzione: qualsiasi genitore ben avveduto sa perfettamente che la logica del male è più allettante di quella del bene: il male è aggressivo, confuso, promette sempre nuove strade se un sentiero dovesse presentare troppa salita. Il bene invece è onesto, mite, ordinato e promette tanta felicità, ma solo se affronti la salita.
Per questo la vita è “critica”, cioè, etimologicamente, la vita è una “potatura”, un continuo scegliere e tagliare ciò che impedisce la felicità e mi lascia diviso. E scegliere significa mettere dei limiti: i limiti non sono privazione di libertà ma il campo del suo esercizio, il perimetro della vita reale, come la gravità per i corpi: sulla luna non siamo più liberi. Quando non scegliamo, la vita si spegne perché smettiamo di rispondere alla realtà, non siamo più padroni dei nostri atti ma prigionieri delle circostanze o delle aspettative altrui.
Abbracciare e tagliare, unificare e liberarsi, decidere e recidere. Questo salva!
don Giammaria Canu
P. Canonica, Abisso (1907).
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