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DI DOMENICA IN DOMENICA - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 14 novembre 2021


Questione di azzeccare alleanza.


Tante forme di dipendenza abitano le nostre giornate: c’è chi dipende da un vizio, chi dipende da un amico, chi dipende dal proprio marito, dai figli o dai genitori, chi dipende dall’applauso altrui, chi dipende dal proprio capo, chi dipende dalla propria storia e chi dipende da Dio. C’è però della dipendenza che genera ostaggi e della dipendenza che, invece, spalanca le porte del cuore ad una libertà infinita.

Nel Vangelo di domenica scorsa si è giocata la partita ricchi contro poveri, dipendenti del palcoscenico e degli applausi contro dipendenti del Dio della Provvidenza. E se l’arbitro è l’uomo, quell’uomo affascinato dalla buccia delle cose, quell’essere dai progetti brevi («80 anni per i più robusti», Sal 89), quel fasciame di carne e ossa condannato a finire in qualche pugno di polvere, beh, allora la vittoria è indiscutibilmente già assegnata ai ricchi. Ma se per caso la storia, le esperienze, le fratture, le malattie, i pianti, le notti insonni, la fatica, ti hanno allenato a non confidare negli uomini ma a sollevare lo sguardo («meglio rifugiarsi nel Signore, che confidare nei potenti», Sal 117), allora la partita è una vittoria a tavolino per ogni povero, quelli in carne come i poveri in spirito: «di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). È la povertà, cioè il grido di chi mendica vita, a portare Dio in terra, o meglio, a scoprire che Dio abita già la nostra terra. Se l’arbitro è Dio, vince sempre il povero.

Quella vedova al Tempio si era allenata alla gioia del dono nella palestra di Dio, che frequentava in maniera assidua, soprattutto dopo aver perso il suo compagno di vita. Ed era la vita ad averle insegnato il gusto per l’essenziale e il disgusto per il superfluo. Ma era la fede ad aver aumentato la sua capacità di riconoscere in Dio l’unico vero alleato affidabile per vincere nella vita vera. Di quel Dio si era innamorata proprio perché era diventato Lui il q.b.v., quanto le bastava per vivere. E chissà quante volte quella vedova aveva fatto l’elemosina ai poveri, lei che probabilmente viveva proprio dell’elemosina altrui. E per ogni volta si ripeteva il miracolo della farina della vedova di Sarepta: «la farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato» (1Re 17,16). È lo stesso miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci: «voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37). Una volta anche san Paolo si trovò in condizione di necessità e scoprì quello stesso miracolo che avviene tutte le volte che condividi anche il poco che hai per vivere, «ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: “Si è più beati nel dare che nel ricevere”» (At 20,35).

Noi, poi, qualche vantaggio in più rispetto alla vedova e a san Paolo ce l’abbiamo: rispetto alla vedova, sappiamo che lo stile di Dio è quello del Figlio morto sulla croce che dona la vita (il suo q.b.v.!) per la nostra vita eterna; rispetto a san Paolo abbiamo 2000 anni di Chiesa che insistentemente cerca di far camminare insieme (sinodalmente) i suoi figli incontro ai poveri. Ed è la stessa strada che percorre Dio per incontrare l’uomo. Solo un Dio così è affidabile! Un Dio faraone, sovrano assoluto, calcolatore di monete e di pratiche religiose, burocrate del sacro non è per niente affidabile: penserà solo a far crescere la sua autorità e il suo regno. Un Dio dei piccoli, vulnerabile e mite è affidabile e autorevole: cercherà solo di rendere felice e libero chiunque riconosca di esserne figlio. Questo vuol dire che nessuno, neanche il più fiacco, il più depresso, il più schiacciato dalla vita, il più povero, il più peccatore, il più ladro può essere escluso dalla santità. Tutti possiamo diventare sacri, cioè con-sacrati, destinati alla stessa vita di Dio.

Siamo vicini alla fine dell’anno liturgico e celebreremo domenica la giornata dei poveri: non cessano mai le occasioni divine per puntare a ciò che conta, che non si sgretola e non passa di moda. Se leggiamo bene e in profondità la storia, scopriremo cosa c’è di veramente solido: «il cielo e la terra passeranno, le mie parole non passeranno» (Mc 13,31). Alleiamoci con chi non si sbriciola.



don Giammaria Canu


Perugino, Lo sposalizio della Vergine (1504).

Dipinto per la cappella del Sacro Anello del Duomo di Perugia, voleva donare come messaggio la razionalità, la perfezione e l’affidabilità delle opere benedette da Dio, come questo matrimonio. Chi allea la propria storia con quella di Dio, perfeziona la propria vita. D’altronde, in francese, la fede nuziale si chiama alliance.

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