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DI DOMENICA IN DOMENICA - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 28 novembre 2021


L’Avvento e la pesantezza di cuore.


È stato efficacissimo il vangelo della domenica di Cristo Re. Efficacissimo grazie a quel botta e risposta tra Pilato e Gesù: il più potente su quella terra di Palestina e un prigioniero disgraziato e umiliato; il rappresentante dell’Imperatore di Roma ossessionato dalla paura di sommosse popolari o di antagonisti pronti ad usurpargli il posto, e davanti a lui l’onnipotente Signore della storia e di ogni storia (compresa la storia di Pilato!), incatenato e sbeffeggiato. Quale dei due è più uomo? Che significa: in quale dei due rintracciamo qualcosa di immortale? Ricordo quel graffito americano: «Dio è morto», firmato Nietzsche; «Nietzsche è morto», firmato Dio. Quale dei due metterà la firma sulla fine dell’altro? Nietzsche o Dio? Pilato o Gesù? L’imperatore romano o il re dell’universo? E quale dei due ha ancora qualcosa da dire alla storia?

Ponendo la questione un po’ più alla radice, quel dialogo sul vero re, cioè sul vero uomo e sul vero vincitore della storia, affiora chiarissima la proposta del tempo di Avvento: da dove vogliamo ripartire? Vogliamo soltanto rimescolare le carte della nostra vita e vedere se questo nuovo anno liturgico ci va meglio dello scorso, oppure vogliamo riprendere le fila della nostra storia e dare un’accelerata all’anima? Sarà un altro anno fatto di eventi, programmazioni e attività, oppure decidiamo di recuperare fiato e dare consistenza spirituale alle idee pastorali? Papa Francesco chiederebbe: occupiamo ancora altri spazi, magari quelli usurpatici dalla tecnica, dal consumismo e dall’edonismo, oppure inauguriamo processi che partano dal cuore delle cose, dal cuore del mondo, dal cuore di Dio?

Simone Weil negli anni ’40 aveva proposto una serie di riflessioni intitolate: la pesanteur et la grâce, la pesantezza e la grazia. La pesantezza dei corpi che si contrappone alla lievità della grazia. Esiste una forza prepotente che ci attira verso il basso e un’altra forza mite, libera e misericordiosa che propone di mettere radici in cielo: a quale delle due obbedire… o meglio: a quale delle due disobbedire? Entrambe queste forze, la gravità e la grazia vorrebbero regnare su di noi ma con due stili opposti: la violenza della pesantezza che ci strappa per attirarci verso il basso e la delicatezza della grazia che tiene sempre tesa la mano pronta a farci gustare le realtà del cielo. La prima acchiappa i corpi per trascinare anche l’anima e la seconda accarezza l’anima per trasferire anche i corpi nel suo paradiso.

I corpi occupano uno spazio e lo possiedono in maniera esclusiva. L’anima abita un tempo e non può che condividerlo con altre anime. «Il tempo è ciò che l’uomo non potrà mai irridere o mettere in ridicolo. Di fronte al tempo siamo tutti umili» (Heschel). Cioè, il tempo è ciò che ci unisce agli altri e ci fa camminare insieme (sinodo): Dio mette nelle mie mani delle persone e del tempo per incontrarle; lo spazio è ciò che ci divide, ci fa mettere bandierine di conquista e costruisce le dogane: entra solo chi voglio io!

L’Avvento è tempo, come il Natale, e persino il presepe è un tempo fatto per chi sa sostare davanti in preghiera. L’Avvento è poi un tempo “forte”, ma non nel senso di un tempo che fa violenza, che con forza vuole a tutti i costi propinarci le solite storie del Natale ad illuderci che i riti replicati (compresa la tortura rituale dei regali da scambiare!) ci fanno sentire in pace con la nostra coscienza. Ma non per questo è un tempo debole: è un tempo umile, un tempo per gli umili, un tempo impastato di humus, di terra, il tempo di Dio mescolato col tempo della terra degli uomini, in attesa che la storia di Dio diventi a Betlemme carne di un uomo. È tempo forte e umile di attesa capace di donare un tratto divino alla nostra vita. La vera tragedia, infatti, è quella da cui Gesù domenica prossima chiede di tenersi lontano: «non si appesantiscano i vostri cuori!». Quando i cuori non riescono ad accendersi per la loro propria vocazione che è quella alla leggerezza, accade proprio che la vita si accartoccia e si ha quasi l’impressione di perdere tempo, di passare giornate intere senza vivere. L’Avvento è tempo opportuno, regalo di Dio per restituire al cuore la sua vocazione. Un cuore “grazioso”, “aggraziato”, “gratificato”, cioè sfiorato dalla grazia, che mette le ali alla vita. In questo cammino di Avvento, proviamo ad acchiappare ogni occasione di grazia e regaliamo al nostro cuore tante planate verso il cuore grande di Dio (lì dove lui è nato!). Se lo merita: è il cuore che riconosce le bassezze e invita a prendersene cura; è il cuore che riconosce le sorprese e le planate della grazia; è il cuore che riconosce l’affidabilità delle promesse di Dio.



don Giammaria Canu


G. dell’Otto, fumetto per: Transumanar significar per verba / non si poria; però l’essemplo basti / a cui esperïenza grazia serba. / S’i’ era sol di me quel che creasti / novellamente, amor che ‘l ciel governi / tu ‘l sai, che col tuo lume mi levasti (Dante, Paradiso I, 70-75).

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