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DI DOMENICA IN DOMENICA - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 30 gennaio 2022.


Elogio dello smarrimento.


Il tempo è una grande palestra di sinodalità: per tutti la storia scorre, impietosa a tratti e generosa a singhiozzi, ma nell’uno e nell’altro caso sempre intrisa di domande, cioè in apnea di un mistero che è già di suo difficile e doloroso da indagare, ma che si aggroviglia ancora di più non appena mi accorgo di non essere solo ad obbedire alle leggi del tempo. E il nostro tempo è un tempo sapientemente contraddittorio: è sempre meno raro assistere a interventi che cercano di smascherare la sapienza nascosta sotto i paradossi, gli inattesi, le sorprese della storia. Come se ci fosse un forziere di Parola di Dio dietro gli inediti della vita. Come che l’alfabeto di Dio siano tutti i brandelli di vita che non filano per il verso giusto. Il nostro verso giusto, mica quello di Dio! È Gesù che come nella sinagoga di Nazareth srotola ancora il profeta Isaia durante i nostri “giorni dello smarrimento” (ottima canzone di Niccolò Fabi), quelli carichi di imperfezioni e imprevisti: «giorni senza destinazione, senza desideri, giorni degli eventi in controtempo, senza un ruolo nel reale… ed è tutta una salita fino a sera, fino al sonno che ristora… cittadino di un bel niente, straniero dappertutto… i giorni in cui capirsi è complicato, i giorni fuori tempo, i giorni dove ti cerchi in una sola persona e ti ritrovi in altre cento; il mattino è così stanco di illuminare che mi ripete all’infinito buonanotte».

Rapidissimo intermezzo: quanta verità c’è depositata nell’arte! Ci sono pittori, cantanti e poeti che ci azzeccano sempre pur senza aver mai messo piede in una chiesa. Penso che in Paradiso si continua a studiare Omero, Dante, Montale, Fidia, Michelangelo, Mozart, De André, Morricone non più per vedere se avevano ragione (anche da quaggiù è evidente che ce l’avevano!), ma si vaga alla ricerca del pezzo di Paradiso che hanno raccontato.

Vediamo il Vangelo di domenica prossima. Un grande pasticcio per il figlio di Giuseppe il falegname: è diventato troppo profeta, cioè troppo scomodo, cioè “troppo” per gli standard del nazaretano medio. Lo cacciano via dalla sua città. Ci sta troppo stretto. È contradditorio e provoca troppo smarrimento, scardina e frantuma le già poche e traballanti sicurezze su Dio. Eppure, è proprio lo smarrimento la porta per far entrare Gesù a casa propria. È la potenza dello smarrimento che ha innescato quei frequenti terremoti della storia che con affetto chiamiamo santi e che danno i nomi ai cuccioli di uomo: all’inizio della loro santità era lo smarrimento e ci auguriamo che sia così anche per ogni bambino che nasce e che prende il nome e la vocazione di un santo. È l’arcipotenza dello smarrimento che rende possibile la letteratura universale, geni e animi ispirati e innamorati della fragile imperfezione dell’uomo (c’è tanto da riflettere su quell’inizio dell’arte poetica mondiale che canta l’“ira” di Achille, mica il suo piè veloce!). È la potenza dello smarrimento che ha preso per mano anche papa Francesco ispirandogli di “camminare insieme”, aprendo sentieri nella foresta inesplorata dell’umanità smarrita. Ed era la potenza dello smarrimento del popolo d’Israele che ha permesso a Gesù di sentenziare con pungente “ana-cronismo” (letteralmente: contro tempo; calcisticamente: contropiede; secondo il codice della strada: contromano): «oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Che con una punta provocatoria voleva dire: oggi è vivo, è carne, respira e cammina con voi tutto quello che Isaia ha detto 4 secoli fa e che per 4 secoli non avete smesso di ascoltare: nessun povero, prigioniero, oppresso, cieco nasce sbagliato per distrazione di Dio. Ma tutto può diventare occasione: «mi sembra di custodire un prezioso pezzo di vita, con tutta la responsabilità che me ne viene» (Etty Hillesum riferita al tempo atroce della sua prigionia ad Auschwitz).

Buona domenica.

PS: “i giorni dello smarrimento” di Niccolò Fabi si concludono così: «Anche un orologio rotto ha ragione per due volte al giorno, e allora perché non posso sentirmi come mi sento? I tempi stanno cambiando, ma l’unica cosa che conta è amare quello che ho intorno e sentire in faccia il vento».



don Giammaria Canu


R. Magritte, Doppio segreto (1927). Il labirinto di interpretazioni che provoca la contraddittorietà di ogni opera surrealista evoca, come in uno specchio, lo sgomento per l’interpretazione della propria vita: «finché si è inquieti si può stare tranquilli!» (J. Green).

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