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DI DOMENICA IN DOMENICA - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 27 febbraio 2022.


E tu con che occhi guardi il mondo?


Può un cieco guidare un altro cieco? No! E, oltre alla pagina del Vangelo di domenica prossima, c’è un meraviglioso romanzo di Saramago (Cecità) che lo dimostra: si parla di una società di ciechi colpiti e contagiati da un virus, la cui unica cosa rimasta è aggrapparsi a quegli scampoli di vita rimasti, cioè soprav-vivere, vivere da sopra, vivere almeno sulla superficie, sul pelo della vita, sulla buccia, visto che la polpa della vita non la si vede più e la si ritiene ormai persa. Questi ciechi che si contagiano a vicenda in maniera irrimediabile (e non vaccinabile) inventano di tutto per distruggere gli altri che neanche vedono, pur di affermare ciò che rimane della propria vita. È la lotta violenta non tanto a recuperare la vita ma ad impedire la vita degli altri. Finisce così questa grande metafora romanzata, premio Nobel per la letteratura: «secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono». È la cecità aggressiva e contagiosa che impedisce di vederci bene e fa vivere bendati, curvi su se stessi, quella cecità che ha come sintomo primo la “onfalite esistenziale”, un’infiammazione cronica dell’ombelico (omphalòs in greco) che ci tiene curvi a prenderci cura della nostra pancia e dei suoi bisogni, senza vedere gli altri che passano e si aggirano attorno a noi proiettando ombre sul nostro ombelico minacciato e da difendere.

E allora, di nuovo: può un cieco guidare un altro cieco? Si! Perché ha il “privilegio” di non abbuffarsi delle cose, ma di lasciarle decantare nel proprio intimo liberandole dalle loro impurità: «non si vede bene che col cuore» (il Piccolo Principe). E per averne conferma autorevole possiamo tornare indietro fino ai primi vagiti della letteratura universale, quei versi di un poeta, maestro indiscusso di tutti gli altri maestri della letteratura: Omero, letteralmente “colui che non vede” e proprio perché non vede, riesce a vedere e raccontare infinite cose epiche che i vedenti non vedono. Ne l’Appello, il buon prof d’Avenia mette in scena i primi istanti di lezione di prof. Romeo (anagramma di Omero, che poi è il suo nome proprio), cieco da 5 anni, che riprende ad insegnare e che scopre nella sua cecità la magia del vedere bene i suoi alunni proprio perché ha imparato che un cieco non può nascondersi, deve solo rischiare: «vivo allo scoperto e la vita mi sbatte in faccia come il vento. Per me le cose e le persone non sono, accadono. La fisica del XX secolo lo conferma: la realtà è un intreccio di storie che accadono e vivere e imparare ad ascoltare, perché le cose e le persone si rivelano solo quando dai loro il tempo di cui hanno bisogno per raccontare la propria, il tempo che ci vuole a spogliarsi senza provare vergogna».

Ogni uomo ha in dotazione un grembo interiore che invita ad abitare il tempo della gestazione. Oggi che siamo nel tutto pieno e nel tutto veloce, il tempo che permette alle cose di sostare per essere osservate, presidiate, guarite, amate, contemplate si accorcia sempre di più. Quando pure si dovesse spegnere la luce esteriore, l’uomo non smettere di incontrare, anzi, forse occorre proprio spegnere la luce esteriore per poter incontrare veramente una persona: ogni incontro scoperchia il vaso di Pandora dell’interiorità e scopri che il tuo intimo è abitato, è popolato, è una metropoli inesplorata e immensa, zeppa di mozioni spirituali, intuizioni, fantasmi del passato, emozioni, possibilità da studiare, freni da usare e rischi da valutare, ricordi di vite passate e desideri di vite future, rimpianti di incontri passati e speranze per nuove esperienze. Quell’interiorità è il vero grembo dell’incontro fruttuoso, gustoso, innamorato di quella nuova persona che oramai ha preso posto e dimora nell’intimo. Nuova, non perché sia un’altra persona, ma perché sono io diverso ogni volta che la incontro e diversa è lei ogni volta che si tuffa nel pozzo della mia interiorità.

In fondo, l’arte di consegnare al cuore ogni esperienza ha un frutto tra i più preziosi di tutti: farci “vedere l’invisibile” e così farci sentire contemporanei dell’Assoluto e come i suoi legittimi eredi (il succo del pensiero di Michel Henry). Non è questo meraviglioso? Ecco perché nel Vangelo «l’uomo buono, dal buon tesoro del suo cuore, trae fuori il bene».



don Giammaria Canu


P. Picasso, Vecchio artista cieco (1903).

I ciechi sono dotati dell’arte interiore più visionaria di tutte: quella di ben vedere e di far vedere bene il bene, anche perché esiste pure la duplice triste e drammatica possibilità di vedere male il bene o di vedere bene il male. L’esile, cupa e spigolosa vita del mendicante è arrotondata, resa piena e colorata dalla sua “chitarra interiore”.

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