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DI DOMENICA IN DOMENICA - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 20 Marzo 2022.


Santa pazienza.


La Trasfigurazione è come un telescopio che aspetta che ciascuno esca fuori casa “a riveder le proprie stelle”. Dall’eternità stanno lì ad aspettare che qualcuno dia loro un senso prima che collassino! Sono lì per ricordare agli uomini di smettere di imbrattare di nero la vita e iniziare a dare importanza a quelle macchie di luce così lontane ma così vere. Dare vita a qualcosa di in-utile (che non porta profitto!), incolto (si secca subito!), trascurato (ci fa fare solo figuracce!) è non bucare l’appuntamento con l’eternità. C’è dell’eternità divina e preziosa dietro ogni nostro frammento di umanità: «se il vostro quotidiano vi pare povero, non accusate lui, ma voi stessi che non siete abbastanza poeti da evocarne la complessità, perché per un creatore non esiste miseria, come non esistono luoghi sprovvisti di ricchezza o indifferenti» (Rilke, Lettera a un giovane poeta).

Domenica prossima ci guida una strana pagina di Vangelo, ma la stranezza, i paradossi e le (in)giustizie divine sono di casa nel Vangelo. È messa a tema la conversione. C’è sotto sotto una certa idea della “conversione di Dio”: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele» (prima Lettura di domenica prossima). Dio si scomoda, rinuncia a quell’immagine di uomo che aveva in testa (che poi era la stessa immagine e somiglianza di sé!), «accetta che essi siano diversi dalla creatura della sua immaginazione» (S. Weil) e si curva: riorganizza il proprio cuore. E nel Vangelo: «Tàglia quel fico sterile ormai da tre annate! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma il vignaiolo rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”». Questo vuol dire che siamo veramente capaci di (co)muovere il cuore di Dio, di toccarne le corde più profonde e muoverlo a compassione. E san Luca è capace, lo scopriremo in tutto quest’anno, di restituirci un volto di Dio capace di inseguire l’uomo lì dov’è, anzi, lì nei guai dove si è andato a cacciare. Si chiama misericordia questo volto di Dio che è il suo nome: Il nome di Dio è misericordia (libro-intervista di Papa Francesco). E sembra pure che Dio debba com-patire, stare in ansia assieme all’uomo in ansia, stare nel pericolo assieme all’uomo in pericolo. Non ne può fare a meno. Un altro suo nome è infatti il paziente, colui che patisce (Deus patiens), ma non solo nel senso che patisce sulla croce, ma nel senso che vive la sua eternità in agonia («Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo; non bisogna dormire durante questo tempo», diceva Pascal), proprio come un padre che aspetta il figlio nella notte insonne e quando il figlio ritorna non solo rinuncia alla ramanzina o alle punizioni, ma mette in atto il processo divino più blasfemo che possa esserci: «facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita» (la parabola per eccellenza della misericordia). E la blasfemia risiede proprio nell’aver scomodato Dio, nell’averlo costretto a cambiare i suoi piani (chissà a cosa era destinato quel vitello grasso!), nell’avergli chiesto uno straordinario sul suo lavoro di Creatore.

Una divina pazienza, quella di Dio con l’uomo, ma perché Lui ci crede veramente che ogni suo figlio possa arrivare a produrre i frutti per i quali è creato: anche se attraverserà sentieri lunghi e tortuosi, la sua creatura diventerà santo. E in fondo Lui, fin dalla creazione dei prototipi (Adamo ed Eva), lo sapeva bene che si sarebbe dovuto abituare alle sorprese degli uomini. E anche noi, piano piano (ma con quanta fatica!) lungo la storia abbiamo imparato ad abituarci alle sorprese di Dio. Soprattutto abbiamo imparato che non segue nessun protocollo: «quando il Signore viene, non sempre lo fa alla stessa maniera. Non esiste un protocollo dell’azione di Dio sulla nostra vita. Una volta lo fa in una maniera, un’altra volta lo fa in un’altra maniera. Ma lo fa sempre» (papa Francesco). Ma perché la misericordia, e con lei la pazienza, sono allergiche ai protocolli! Sono le opere dell’amore e hanno come statuto quello di non avere statuto, ma di vivere in continuo aggiornamento, stanche per amore, proprio come sbuffa un mio amico col cromosoma speciale in più: «santa pazienza che ci vuole con te».



don Giammaria Canu


W. Kandinskij, Il porto di Odessa (1898).

Quanta pazienza i moli che attendono le loro barche. E pensare che questo porto dipinto da Kandinskij, al moneto in cui scrivo assiste da una settimana alla minaccia di navi da guerra attraccate a largo di Odessa.

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