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DICEVANO I PADRI - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 17 Settembre 2023.


Il ritorno dei Padri.


Si dice che il momento attuale è il tempo dell’evaporazione del padre e che la figura paterna sia in fase di drammatica liquefazione, assieme ad ogni forma stabile di autorità. Eppure, non credo possa stare in piedi una società che non si sforzi di avere padri veri, quelli che «si adoperano perché la vita del figlio possa avere un senso, un significato e una direzione che vale la pena inseguire» (Recalcati); e non credo neanche che nei bisogni più profondi di ogni figlio manchi quello ineluttabile di avere un vero padre capace di raccogliere tutti i desideri e orientarli verso ideali alti, sogni nobili, capolavori da realizzare (per questo il padre è la figura familiare depositaria della capacità di motivare il figlio ad uscire, a volare alto, a rischiare la vita). Anche nella Chiesa, nel tempo della sua rilevanza “schiumosa” non si smette di cercare padri: «si cerca per la Chiesa un uomo senza paura del domani senza paura dell’oggi senza complessi del passato. Si cerca per la Chiesa un uomo che non abbia paura di cambiare che non cambi per cambiare che non parli per parlare» (don Primo Mazzolari).

Ora, per la teologia e per la fede c’è un modo sapiente per restare figlie e discepole azzeccando il giusto punto di vista dal quale leggere e lasciarsi travolgere dalle pagine del Vangelo: lo sguardo dei Padri. Chi sono? Sono uomini e donne (purtroppo queste ultime rimaste in ombra a tessere nel silenzio le trame robuste della fede di quei secoli!) di grande nobiltà d’animo, inseguitori dello Spirito Santo durante i primi tentativi imbranati della Chiesa, i primi passi barcollanti della Chiesa su questo mondo, le prime uscite adolescenziali della Chiesa nella piazza dell’umanità. Si chiamano Padri non solo perché hanno generato alla fede una marea di fedeli, ma anche perché, passati alla vecchiaia hanno scommesso che i loro figli diventassero a loro volta padri, mostrando che la vita ha un senso e una direzione veramente alta e altra. Sono Padri della Chiesa, perché appena intercettavano un seme lasciato cadere dal vento dello Spirito, loro si tuffavano e poi si fermavano a pregare… e respiravano. Fermavano tutto: la pastorale, le catechesi, la celebrazione stessa immobilizzate per poter mettere lo zoom su quel seme e capire che pianta sarebbe cresciuta, che albero sarebbe spuntato. E poi quell’albero lo coltivavano ringraziando il Dio di Gesù che non smette di fare miracoli; alla sua ombra, facevano crescere le comunità. A volte quei semi erano le storie dei martiri, il cui «sangue è veramente seme della Chiesa sempre nuova» (Tertulliano). Altre volte erano delle profonde intuizioni di un’intelligenza fine annaffiata con la preghiera e la vita di carità. Ma tutte le volte era soltanto il desiderio di cercare la verità e solo la verità, di lottare e di approfondire solo la verità.

Ad ogni modo, i Padri della Chiesa parlando sempre dello stesso Vangelo non smettono di tradurlo per i nuovi figli della Chiesa che diventano anche loro figli.

Riprendendo il percorso tracciato l’anno scorso, quest’anno ci mettiamo sulle loro spalle, sicuri della loro ineguagliabile e “gigantesca paternità”, non per ripetere il loro messaggio, ma per stare più in alto di loro (sa proprio di superbia adolescenziale!) e guardare più lontano. Il cuore sarà comunque grato a loro di essere stati dei solidi trampolini, proprio come dev’essere un padre.

Veniamo al Vangelo di domenica prossima. Il tema centrale è l’arte del perdono. Gesù vuole rispondere ad una domanda che sgorga dal nostro cuore tutte le volte che viene ferito: «fino a quante volte devo perdonare un fratello?», che tradotto vuol dire: «ma perché devo forzare talmente il mio cuore da imporgli di perdonare, quando è così facile tenere rancore?». La risposta sembrerebbe essere quella solita del Vangelo: «guarda Dio, l’artista, impara l’arte e mettila da parte. I figli di Dio giudicano come giudica Dio, secondo la giustizia di Dio per il quale non esiste niente di imperdonabile». Sentite dove va a parare sant’Agostino per affermare questa stessa verità: «che significa dunque perdonare settantasette volte? Da chi comincia a contare Luca le generazioni prima di Cristo? Comincia a contare da Cristo fino allo stesso Adamo, che fu il primo a peccare e che ci ha generati con il vincolo del peccato. Arriva fino ad Adamo, e si contano settantasette generazioni. Se dunque non è stata tralasciata nessuna generazione, non è tralasciata nessuna colpa che non si debba perdonare. Luca, dunque, enumera settantasette generazioni di Cristo, lo stesso numero indicato dal Signore riguardo al perdono dei peccati, poiché Luca incomincia a contare dal battesimo con il quale sono cancellati tutti i peccati».



don Giammaria Canu


Cimabue, Crocifisso (1271). Come in tutta la tradizione bizantina, Cimabue evidenzia l’addome del Crocifisso. È un potente segno delle viscere di Cristo che proprio sulla croce compie il gesto più gonfio d’amore della storia, un amore viscerale, un Crocifisso gravido.

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