DICEVANO I PADRI - a cura di don Giammaria Canu
Domenica, 22 Ottobre 2023.
L’oro a Cesare, l’uomo a Dio.
Quando Gesù dialoga e si infervora con i farisei, personalmente mi viene sempre il sospetto che abbiano loro uno sguardo di maggiore cura e di grande misericordia da parte di Dio. Come se Gesù riconoscesse in loro la capacità di liberarsi dalle grinfie del più astuto dei peccati, la superbia, ma che da soli facciano una fatica immane a venirne fuori.
Nelle parabole delle scorse domeniche è proprio raccontato lo stile di Dio che le studia tutte perché nessuno si senta arrivato, perché nessuno senta la vita come una discesa a folle e in rettilineo, perché nessuno si faccia chiamare maestro. Tradotto significa che nessuno uomo è “in-capace” di Dio, ma tutti, farisei ed erodiani compresi, possono rispondere all’invito al grande banchetto eterno. Il rischio di una vita superba sarebbe quella di ricevere l’invito e di rifiutarlo perché già abbondantemente sazia, satura e presuntuosamente già piena, già arrivata. E invece no: tutti, ma proprio tutti – e tutti vuol dire tutti – siamo “capaci” di Dio, vasi d’argilla vuoti e da riempire di Dio, della sua Parola e dalla sua stessa vita. Infatti, «noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2Cor 4,7).
Quando ti affacci su Dio, sul vero Dio e conosci la profondità di vita che offre, scopri il senso del vuoto che si fa desiderio, poi domanda di essere riempito e poi lode. Sono i passaggi della preghiera, quella vera: vuoto, desiderio, domanda e gratitudine. In fondo, Gesù contesta ai farisei proprio la loro “in-capacità” di pregare: hanno sbagliato la preghiera, perché hanno sbagliato su Dio e «chi sbaglia su Dio, sbaglia sul mondo, sulla storia e sull’uomo. Sbaglia la vita» (Turoldo). Ora, potevano le viscere materne di Dio non (com-)muoversi davanti a qualcuno che sbaglia la vita? No. Ergo: farisei, erodiani, scribi, leviti, sacerdoti, dottori della legge e sadducei stanno a cuore a Gesù quanto pubblicani e prostitute, poveri e ammalati, orfani e vedove.
Nel Vangelo di domenica prossima, Gesù becca i farisei e gli erodiani proprio sul tema della vita. La vita è fatta di gratitudine, cioè di legami. Serve per restituire. Ogni azione veramente umana è restituzione grata di tutto ciò che abbiamo ricevuto. Se ci pensiamo, tutto viene prima di me e va oltre me. La vita stessa è regalo: c’è prima di me, io ne custodisco una briciola, e poi continua dopo di me. Nessuno si merita la vita, ma ce la ritroviamo tra le mani. La vera questione sta nella domanda: in mano di chi mettiamo la vita? La telecamera del Vangelo si sofferma su una moneta con l’effige di Cesare e si sente la domanda dei discepoli dei farisei a Gesù: «è lecito o no pagare il tributo a Cesare?». E la risposta: «rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Che vuol dire: «la moneta e il suo oro a Cesare; la vostra persona a Dio».
Così commenta un autore anonimo dei primi secoli del cristianesimo: «L’immagine di Dio non è impressa sull’oro ma sul genere umano. La moneta di Cesare è oro, quella di Dio è l’umanità. Cesare è visto nella sua valuta, Dio invece è conosciuto attraverso gli esseri umani. Pertanto da’ la tua ricchezza a Cesare, ma serba per Dio l’innocenza unica della tua coscienza, dove Dio è contemplato. Infatti la mano di Cesare ha coniato un’immagine di somiglianza e vive ogni anno grazie ad un decreto rinnovabile, ma la divina mano di Dio ha mostrato la sua immagine in dieci punti. Quali dieci punti? Cinque carnali e cinque spirituali, attraverso i quali vediamo e comprendiamo quali cose sono utili sotto l’immagine di Dio. Riflettiamo dunque l’immagine di Dio in questi modi: Non mi gonfio dell’arroganza dell’orgoglio; né cedo al rossore della collera; né soccombo alla passione dell’avarizia; né mi abbandono alle follie della baldoria; né mi contamino con la doppiezza dell’ipocrisia; né inquino me stesso con la sozzura delle risse; né divento superbo con la pretenziosità della presunzione; né mi appassiono al peso dell’ubriachezza; né mi estraneo nel dissenso verso una mutua ammirazione; né corrompo altri con i morsi della maldicenza; né divento orgoglioso nella vanità del pettegolezzo. Al contrario rifletterò l’immagine di Dio nel nutrirmi di amore; nel diventare saldo nella fede e nella speranza; nel corroborarmi con la virtù della pazienza; nell’essere sereno nell'umiltà; nell’adornarmi della castità; nell’essere sobrio nell’astensione; nell’essere felice nella tranquillità; nel prepararmi alla morte praticando l’ospitalità. Sono queste iscrizioni che Dio imprime sulle sue monete, senza usare martello o scalpello, ma formandole con la sua suprema intenzione divina. Cesare, infatti, ha richiesto la sua immagine su ogni moneta, ma Dio ha scelto l’uomo, che egli ha creato, per riflettere la sua gloria».
don Giammaria Canu
Croce astile di Ottone e Matilde (X secolo). La manifattura delle croci dorate commissionate dai re del Sacro Romano Impero vuole consegnare l’idea del vero tesoro capace di continuare a donare vita agli uomini. Anche il corredo di gemme e pietre preziose conferma la fede pasquale nella risurrezione come frutto più alto della storia: la croce vittoriosa che rende feconda la nostra stessa vita.
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