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LA DOMENICA SULLE SPALLE DEI GIGANTI - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 23 Aprile 2023.


Il Risorto tra presenza e promessa.


La terza domenica di Pasqua ci regala l’affascinante avventura dei discepoli di Emmaus: uno di loro è Cleopa e l’altro è sicuramente un altro nostro “didimo”, proprio come Tommaso di domenica scorsa, un nostro gemello, spiccicato nei sentimenti a ciascuno di noi, gemello nell’avventura confusa, tormentosa, inafferrabile della fede e nella consapevolezza di doversi mettere sempre in cammino per arrivare in tempo all’incontro (nella fede, come in amore, si è sempre in ritardo… e va bene così!).

Il messaggio del Vangelo di Luca è chiaro: per i cercatori della felicità eterna, l’unico accesso per la fede è riconoscere il vero senso della crocifissione; condizione essenziale per riconoscere il Risorto è comprendere il Crocifisso; il vocabolario della risurrezione è lo stesso della Croce: ogni ferita è segno di presenza e firma di una promessa. Presenza e promessa sono i caratteri del pellegrino che si fa compagno di viaggio dei discepoli per ben 11 chilometri: quella presenza accompagna a leggere bene la promessa, col giusto vocabolario e col cuore giusto.

È proprio la stessa dinamica di ogni opera d’arte che attraverso dei soggetti frutto di immaginazione porta con sé la promessa di non smettere di essere ogni volta aumentata, ri-letta, ri-scritta, ri-fatta, ri-sorta. Per questo la Croce è l’opera d’arte più grande della storia, perché Dio l’ha caricata della possibilità di essere abbracciata e ri-abbracciata in ogni momento, proprio perché si fa nostra compagna di avventure.

Lascio la parola a Max Milner che offre un’interpretazione luminosa proprio dei dipinti della Cena di Emmaus proposti in serie (più di 200!) dal grande artista Rembrandt:

«La pittura, arte del visibile, sembra male attrezzata per tradurre una storia il cui vertice, come dice san Luca, è proprio la necessità di rinunciare al visibile per accedere alla verità. Ma ridurre la pittura a un’arte del visibile significherebbe limitarne stranamente i poteri; sarebbe invece capitale distinguere qui tra “visibile” e “visuale”, perché quest’ultimo, pur restando sorretto dalla vista, ci fa penetrare nel campo del simbolico, a cui il visibile non ha accesso. Non tanto perché il pittore disponga di simboli la cui iconologia permette di separare dalla cosa rappresentata il suo significato, ma perché le forme, i colori, le luci formano un linguaggio che ogni spettatore interpreta in base alle sue disposizioni interiori, e che gli comunica messaggi spesso più efficaci e capaci di penetrare in lui più profondamente dei messaggi verbali.

Sotto questo profilo, il tema dei pellegrini di Emmaus offre alla pittura la possibilità di compensare molti dei limiti che le sono imposti dalla necessità di concentrare nell’istante della contemplazione la moltitudine di significati che un racconto o un discorso permettono di concatenare gli uni agli altri. Ma parlare di “istanti” della contemplazione non rende giustizia all’insistenza dello sguardo, al tempo necessario per lasciarsi assorbire nello spettacolo o per riempirsene, ai percorsi che gli occhi compiono all’interno del quadro. Lungi dal confinare in uno spazio ristretto significati molteplici, spesso la pittura dispiega ciò che il racconto permette appena di intravedere.

Vi sono così molti aspetti del racconto di San Luca che ridestano in noi “attese” alle quali il pittore propone risposte che toccano regioni del nostro essere che egli è particolarmente indicato a smuovere. Ciò che costituisce la singolarità del tema di Emmaus e che invita lo spettatore a sovrapporre all’affermazione tautologica del visibile (ciò che tu vedi qui è ciò che è e non un’altra cosa) l’instabilità enigmatica di un visuale che è presentimento di un’assenza, evidentemente del troppo pieno di un’immagine che si soddisfa e ci soddisfa di essere quel che è. Riconoscere il Cristo, per i discepoli che hanno creduto nello spazio di un istante al suo ritorno, non significa registrare la sua conformità con un ricordo o con una proiezione immaginaria. Significa comprendere che il suo luogo è “altrove”: non in un luogo altro, dove la sua apparenza sarebbe più vera ma in un mondo dove l’immagine e al tempo stesso presenza e promessa».



don Giammaria Canu


I. Demchuk, Strada per Emmaus (2011).

Dal gelo, dalla roccia e dalla natura nuda questa artista ucraina fa emergere, come dei fossili, un pellegrino dai contorni appena accennati nell’oro che raggiunge due altri pellegrini spezzati in due dal ghiaccio, mentre dell’oro piano piano sta cercando di ricomporne i lineamenti lungo il cammino, fondendosi alla fornace del cuore che arde «mentre egli conversava con loro lungo la via, quando spiegava loro le Scritture» (Lc 24,32).

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