LA DOMENICA SULLE SPALLE DEI GIGANTI - a cura di don Giammaria Canu
Domenica, 11 Dicembre 2022.
La conversione di Giovanni il Convertitore.
Sono passati appena 8 capitoli dal Vangelo di domenica scorsa e Matteo già racconta di uno strappo lacerante in Giovanni Battista: la sua potente voce è messa a tacere nelle carceri di Erode e anche la sua sicurezza dottrinale è messa in profonda crisi. Fa proprio tenerezza: una vita passata a parlare della verità, anzi a gridarla a colpi di Parola di Dio, giornate di deserto, sole, arsura, silenzio, fame, sete, freddo, paura… Tutta questa ascesi per poi finire ad assaporare l’amarezza abissale di sentire chiaro e pervasivo il rischio di aver sbagliato tutto. La prigione era ancora più minacciosa per la rabbia di Erode che si sentiva addosso l’accusa di adulterio da uno sgangherato profeta selvaggio e per di più pericoloso per l’eco della sua voce nel cuore di migliaia di persone immerse da lui nel Giordano della conversione. E poi, alle carceri del Macheronte arrivano a Giovanni strane notizie su Gesù: nessuna scure posta alla radice degli alberi infruttuosi, nessun fuoco inestinguibile a bruciare la paglia dell’ingiustizia e nessuna ira imminente come urlava domenica scorsa quel rude profeta, l’ultimo dei profeti o la sintesi dei profeti dell’Antico Testamento. Ma era pur lui il più grande fra i nati di donna, un “piùcheprofeta”. Poteva il buon Dio lasciarlo prigioniero di due Erodi? Quello del Macheronte e quello interiore che gridava un senso a tutto, un senso alla sua predicazione, un senso ai suoi battesimi, alle sue urla, ai suoi deserti, alla sua stessa vita. Dei due, il secondo Erode “erode” decisamente più prepotentemente. Era intollerabile sapere che suo cugino Gesù andava avanti a suon di miracoli (ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi, morti, poveri hanno nuove possibilità) e non a colpi di scure alla radice. Non un Dio che fa sparire «con mano potente e braccio teso» (Sal 136,12) i cattivi, ma un Dio che fa apparire la vita, che guarisce e fa ripartire.
Due soluzioni per la vita di Giovanni: l’insignificanza della sua opera o il riscatto; la superbia o la conversione tanto predicata; la vittoria del suo Dio o quella del suo io; Dio con le sue sorprese o io coi miei dogmi? Doveva rivedere le sue speranze per non essere costretto ad abbandonarle del tutto. E alla fine doveva solo riconoscere di aver azzeccato ad attendere, ma di dover accogliere e obbedire al Dio dell’imprevisto, dell’inedito, della sorpresa: non si danno a Dio i compiti a casa su come manifestarsi! Se la vogliamo pensare più teologicamente è tutta una questione di accenti: Giovanni calcava (con decisione, ma forse ci voleva!) l’acceleratore sulla pedagogia dell’attesa del giudizio; Gesù calcava sulla gioia del Vangelo, o sul Vangelo della gioia. C’era comunque da prepararsi alla fine di tutto, alla resa dei conti. Ma con Gesù si scopre che quella fine che entra nel mondo non è tenebra, ma gioia; non fuoco che brucia, ma fiamma che riscalda; non prigione eterna, ma eterna vita. È diverso dire ad un bambino: «lascia il cellulare che sennò arriva un votaccio», oppure «lascia il cellulare che è appena arrivato babbo da un lungo viaggio!». Ne siamo convinti: uno che ha vissuto il deserto sicuramente è rientrato in quella beatitudine finale di Gesù: «beato colui che non trova in me motivo di scandalo». Il deserto è pieno di “scandali” (letteralmente “pietre che fanno inciampare”). Il deserto è il regno degli scandali e chissà quanti scandali avranno fatto inciampare Giovanni, quanti lo avranno ferito e quanti stavano per essere scagliati contro la sua schietta parresia.
Insieme al gigante di questa settimana, John Paul Meier, grande biblista americano, anzi, probabilmente il più grande biblista vivente fino a un paio di mesi fa, possiamo pensare che dal carcere Giovanni «non si lascia scoraggiare per il fatto che gli eventi hanno preso una piega così diversa da quella attesa; non si lascia demoralizzare per il fatto che il gioioso ministero di guarigione e di consolazione di Gesù si è dimostrato l’esito sorprendente e riuscito del dramma escatologico che Giovanni profetizzava come imminente. Esso era, infatti, imminente e Giovanni era vissuto il tanto giusto per vederne gli inizi: solo non era quello che egli immaginava. Di conseguenza, non è ad altre persone in generale, ma a Giovanni in particolare che è indirizzata la beatitudine riservata a chi non si scandalizza dell’imprevisto di Dio. In modo tacito, Gesù implora il suo maestro Giovanni di riconoscere nel suo antico allievo la realizzazione inattesa del disegno di Dio in favore di Israele. I miracoli di Gesù, la sua proclamazione della buona notizia ai poveri, la sua amicizia con gente religiosamente emarginata come esattori delle tasse e peccatori, non solo attestano ma addirittura attuano e inaugurano l’avvento definitivo di Dio per salvare il suo popolo».
Solo un grande nato di donna come Giovanni Battista può tollerare una simile conversione davanti all’irruzione di Dio.
don Giammaria Canu
Juan Fernández de Navarrete, San Giovanni Battista in prigione (1565).
Si riconosce drammaticamente lo struggimento delle due carceri di Giovanni.
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