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LA DOMENICA SULLE SPALLE DEI GIGANTI - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 29 Gennaio 2023.


Un uomo tutto da salvare.


C’est parti! Gesù è per strada… Il regno è vicino, ci ha raggiunto, è diventato nostro parente e ora è in trepidante e struggente attesa della risposta umana (Dio in perenne tempo di Avvento). I primi quattro compagni di viaggio sono già a bordo: domenica scorsa abbiamo conosciuto i loro nomi: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, e abbiamo anche messo a fuoco un cambio di mestiere, o meglio un trasloco, una metanoia, una conversione di testa, di vita e di cu(o)re: da pescatori di pesce a pescatori di uomini, da frequentatori di barche e reti a discepoli a servizio dell’umanità nascosta, spesso sepolta, insabbiata e affogata, nel cuore degli uomini. C’è tanta umanità da pescare, tanta vita, tanta libertà, tanta verità da sottrarre alle acque della morte, carceriera di una felicità che troppo spesso condanniamo all’ergastolo al posto di cercare avvocati (paràcleti) in sua difesa. Ecco chi sono i pescatori di uomini: i minatori della gioia, ricercatori e scopritori di tesori coperti, appassionati del desiderio di felicità depositato nei fondali dell’anima umana.

Si parla di felicità proprio questa prossima domenica attraverso la teologia delle beatitudini – che poi ogni teologia è teologia delle beatitudini, oppure è fantateologia! – queste sentenze di vita che fanno stare proprio tutti (and all means all, … “e tutti vuol dire tutti”, recita una vignetta con la telecamera posta dall’alto della croce e il crocifisso a tenere le braccia il più aperte possibile per pescare il più umanità possibile) nel Regno e nell’abbraccio di Dio.

Tutto ha inizio con Gesù che «vedendo le folle salì sul monte» e dall’alto inizia a scansare tutti i paraventi, a scrostare tutte le macerie, a spazzare via tutto il lordume ingannevole sedimentato nelle molli umanità che aveva di fronte. Riconosceva dell’ottimo materiale nascosto e da salvare a tutti i costi. E quello che dice non sono parole, ma sono atti, sono verbi che si fanno carne, sacramenti: sono cioè sentenze “performative”, efficaci, perché realizzano ciò che dicono, come quando «Dio disse: “Sia la luce”. E la luce fu»; oppure quando «Gesù disse: “lo voglio: sii purificato!”. E subito la sua lebbra fu guarita»; oppure quando domenica dirò ad Alice: «io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» e Alice diventerà «membra del Corpo di Cristo per la vita eterna». Così diceva il caro Joseph Ratzinger (Gesù di Nazaret): «le beatitudini sono promesse escatologiche; questa espressione, tuttavia, non deve essere intesa nel senso che la gioia che annunciano sia spostata in un futuro infinitamente lontano o esclusivamente nell’aldilà. Se l’uomo comincia guardare e a vivere a partire da Dio, se cammina in compagnia di Gesù, allora vive secondo nuovi criteri e allora un po’ di éschaton, di ciò che deve venire, è già presente adesso. A partire da Gesù entra gioia nella tribolazione […]. Le beatitudini sono la trasposizione della croce e della risurrezione nell’esistenza dei discepoli. Esse, però, hanno valore per il discepolo perché prima sono state realizzate prototipicamente in Cristo stesso». Che tradotto può anche voler dire: le beatitudini sono lo spoiler della Pasqua!

Ma teniamo libera la “gigante” miniera di papa Benedetto per altre occasioni. Il testo delle beatitudini di Matteo mi trasporta nelle pagine di un enorme gigante, non del cristianesimo, ma dell’umanesimo della carne, quello fatto di tragedia, sofferenza, miseria, solitudine e angoscia. Chiediamo perciò di stare sulle spalle di Dostoevskij per stare più in alto (come Gesù sul monte delle beatitudini) e guardare più lontano e più a fondo il cuore dell’uomo

Ne I fratelli Karamazov, proprio al centro del romanzo, Dostoevskij mette queste parole sulle labbra di Alëša, che ascolta il Vangelo di Cana mentre prega, mezzo addormentato, davanti alla bara dello stareč Zosima, da poco deceduto: «Non il dolore, ma la gioia degli uomini ha commosso Cristo, questa prima volta che compiva un miracolo: alla gioia degli uomini volle cooperare… “Chi ama gli uomini, ama anche la loro gioia”… Così ripeteva il mio morto [Zosima] ad ogni occasione, era uno dei suoi pensieri fondamentali… Senza gioia la vita è impossibile, dice Mitja». C’è questa misteriosa e potente commistione tra amore e felicità nel miracolo delle nozze di Cana come nello sguardo di Gesù che sentenzia (“dichiara operative”) le Beatitudini. Amore e felicità sono proprio lo sguardo divino sull’uomo, così eternamente inscindibili che Dostoevskij fa dire ad un altro dei suoi personaggi quest’altra favolosa beatitudine sull’amore: «in tutta la terra non esiste assolutamente nulla che possa costringere gli uomini ad amare i propri simili e non esiste affatto una legge della natura in base alla quale l’uomo debba amare l’umanità, e se esiste ed è finora esistito amore sulla terra, ciò non è dovuto una legge naturale, ma esclusivamente al fatto che gli uomini hanno creduto nella propria immortalità. Se provaste a distruggere nell’umanità la fede nella propria immortalità, in essa si estinguerebbe immediatamente non soltanto l’amore, ma qualunque forza vitale per continuare la vita sulla terra». Solo chi scopre l’eternità, scopre il senso dell’amare e del gioire. Questa è vera beatitudine quotidiana che salva l’uomo in tutta la sua immensa grandezza.



don Giammaria Canu


J. Vermeer, Lattaia (1660). Il beato quotidiano.

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