DIOCESI DI BISARCIO
Il primo vescovo sicuramente documentato della diocesi medievale di Bisarcio, suffraganea del vescovo di Torres, è Nicodemo, e risale forse al 1065. Nella cronotassi episcopale si contano, a partire da quell’anno fno al 1503, trentatré prelati. Il territorio della piccola diocesi logudorese passò dalla dominazione dei giudici di Torres a quelli di Arborea intorno al 1259-72. Tra gli eventi che segnarono la storia di questa diocesi è da segnalare la celebrazione, il 12 marzo 1437, da parte del vescovo Antonio Cano, di un sinodo che diede disposizioni sulla vita dei chierici e sulla Cura animarum. Con la bolla di Giulio II, Aequum reputamus, del 26 novembre 1503, la diocesi di Bisarcio venne unita a quella di Castro ed entrambe alla diocesi di Ottana, che, a sua volta, fu trasferita alla parrocchia di S. Maria di Alghero. Il 9 marzo 1803, con la bolla Divina disponente clementia, Pio VII ricostituì l’antica diocesi di Bisarcio, che conservò il titolo fno al 1915, Trasformato poi in quello di Ozieri.
DIOCESI DI CASTRO
La sede episcopale di Castro (o Castra), suffraganea del vescovo di Torres, benché istituita in un periodo imprecisato, è documentata per la prima volta nel 1127, quando si ha notizia sicura di un Adamus episcopus Castrensis. In tale periodo comprendeva ventisette “ville”, con un totale di circa dodicimila abitanti. Il secondo vescovo sicuramente attestato fu il camaldolese Attone, che nel 1162 consacrò, come documentano le cartulae consecrationis, la chiesa di Santa Maria di Mesumundu (Anela) e nel 1168 quella di San Demetrio in Oschiri. Nella cronotassi episcopale, dal 1162 al 1502, si contano trentasette vescovi. Un anonimo vescovo di Castro partecipò nel 1215 al Concilio Lateranense IV; nel 1220
Onorio III diede disposizione al suo legato Bartolomeo di esaminare la consistenza del patrimonio della piccola diocesi per verifcare se fosse adeguato al decoro della dignità vescovile. Nel 1420 fu celebrato a Castro il primo sinodo del Logudoro. Il fenomeno dello spopolamento delle piccole “ville”, fra cui quello della sede episcopale, segnò l’abbandono di numerosi altri insediamenti minori e la conseguente unione della diocesi, come avvenne nel 1503 per Bisarcio, in seguito a un riordinamento generale delle circosrizioni ecclesiastiche
dell’isola con la bolla Aequum reputamus del novembre 1503
DIOCESI DI OZIERI
La bolla Divina disponente clementia del 9 marzo 1803 ricostituiva la diocesi di Bisarcio con sede a Ozieri, poiché la “villa” di Bisarcio era da secoli abbandonata. La nuova circoscrizione comprendeva il territorio di Bisarcio e Castra che, nal 1503, insieme a Ottana, era stato unito ad Alghero. La ricostituzione della diocesi bisarchiense, che abbracciava ventidue ville del Monte Acuto e del Goceano, poneva fne a numerose polemiche tra la Collegiata di Ozieri e il Capitolo di Alghero. L’Ottocento ecclesiastico ozierese potrebbe essere suddiviso in tre periodi:
1. dal 1805 al 1847, con l’azione dei primi tre vescovi.
2. dal 1848 al 1871, con il governo di tre Vicari Capitolari durante la sede vacante.
3. dal 1871 al 1896 con il governo di Serafno Corrias.
Nel primo periodo si ebbero gli episcopati di Giovanni Antioco Azzei (1805- 1819), il quale istituì in data 8 gennaio 1808 il Seminario diocesano, Domenico Pes (1819-1831), Serafno Carchero (1834-1847). In questo arco di tempo, secondo le direttive della monarchia sabauda, l’azione pastorale dei vescovi, a motivo dell’arretratezza in cui versava la società logudoresa, si coniugava con la
promozione umana. In altre parole, oltre che nella cura animarum, essa si esprimeva anche nell’impegno per arginare l’analfabetismo, promuovere l’agricoltura, costruire e sostenere strutture comunitarie, pacifcare alcune popolazioni in lotta. L’applicazione dell’editto sulle chiudende, che autorizzava, a precise condizioni, la recinzione e la conseguente privatizzazione di alcune superfci rurali da sempre destinate agli usi comunitari, provocò grave malessere sociale nelle comunità del Logudoro e del Goceano.
In questo contesto alcuni ecclesiastici, tra cui il rettore di Benetutti Antonio Pes, disattendendo le direttive dell’autorità politica, assecondarono le istanze della popolazione, sostenendone le aspirazioni verso una maggiore uguaglianza sociale. Il vescovo Pes aprì nei locali del seminario le scuole al pubblico; Carchero nel gennaio 1841 promosse l’istruzione delle fanciulle affdandone l’incarico alle Maestre Pie Venerine. Si distinse in questo settore il sacerdote Antonio Luigi Sequi, provveditore agli studi della provincia di Ozieri. Di fronte alla faida ozierese del 1820 il viceré Thaon di Revel scriveva a Pes: “Niente mi sta a cuore che la riconciliazione di queste fazioni, per metter un termine alle vendette e al sangue… La vera pacifcazione deve consistere nel cessare dalle ingiurie, dai misfatti, dalle vendette, dalli odi, che i faziosi rientrino nei loro doveri…”. L’azione della Chiesa ozierese portò un contributo alla soluzione di numerosi problemi sociali. Quanto travagliata fosse l’esistenza della diocesi si può arguire anche dal fatto che più volte si tentò di sopprimerla.
Nel 1816, appena tredici anni dopo la sua istituzione, un progetto di soppressione fu sventato grazie all’interessamento del duca del Genevese, fratello di re Vittorio Emanuele I. Un secondo progetto di soppressione, presentato nel 1835,
fu accantonato per merito di Alberto De La Marmora. Intorno agli anni Cinquanta, a causa della povertà in cui versava il territorio, si rifece viva la proposta di soppressione. Il primo cinquantennio di esistenza fu, pertanto, contraddistinto da un alternarsi di entusiasmo per la rinnovata ricostituzione e di crisi per tre motivi: dinamiche interne alla vita ecclesiale, mozioni di natura politica
e povertà che ne compromisero l’incidenza sul tessuto sociale. Il venticinquennio di sede vacante (1847-1871) costituì un periodo di crisi, sia per la mancanza di un progetto pastorale unitario con la conseguente carenza di istruzione religiosa che determinò l’abbandono di forme tradizionali di catechesi come le missioni popolari, sia per gli attacchi provenienti dal nuovo orientamento politico deciso a ridimensionare l’influsso della Chiesa sulla società. Con le leggi del maggio 1855 furono soppressi i conventi dei minori osservanti, dei cappuccini e delle monache cappuccine in Ozieri, dei minori conventuali in Bottidda e a Monte Rasu. La legge del 15 agosto 1867 relativa all’asse ecclesiastico alienò 208 lotti.
Negli anni 1847-1871 la diocesi, priva di vescovo residenziale per il dissidio fra Stato e Chiesa, attraversò un periodo delicato in quanto la legislazione ostile alienò la maggior parte del patrimonio ecclesiastico, con non poche conseguenze sulla cura animarum. Tensioni istituzionali, problematiche esterne e povertà delle comunità incisero negativamente sull’attività caritativoassistenziale e sulla cura pastorale in genere. Artefce della rinascita della diocesi fu Serafno Corrias (1871-1896), che per la sua preparazione pastorale come parroco della cattedrale di Bosa e teologica come consulente del vescovo di Nuoro, Angelo Maria Demartis, al Concilio Vaticano I, era all’altezza del compito affdatogli. Il suo progetto pastorale si articolò in sei punti: collaborazione con le autorità civili, formazione del clero, educazione del laicato, istruzione religiosa del popolo, purifcazione della pietà popolare, attenzione all’identità e ai valori specifci del territorio. Corrias aveva un acuto senso del proprio ruolo e aveva, altresì, una visione etica del cristianesimo volta ad elevare le condizioni sociali e morali della popolazione a lui affdata. L’opera del Corrias fu continuata da Filippo Bacciu (1896-1914) che, sensibile a una nuova presenza della Chiesa nella società, si prodigò per la promozione del movimento cattolico, affancando l’opera di vari sacerdoti impegnati in tale settore.
Al fine di assistere l’infanzia abbandonata, Bacciu diede vita alla congregazione religiosa delle Piccole Figlie di San Filippo Neri. Sotto il governo del successore, il redentorista Carmine Cesarano (1915-1919), la diocesi di Bisarcio nel 1915 cambiò nome in quello di Ozieri. Assai intenso fu l’episcopato del piemontese Francesco Maria Franco (1919-1933), il quale profuse molte energie per far calare nel tessuto diocesano gli orientamenti del Concilio plenario sardo del 1924. Nel 1936, mentre era vescovo Igino Serci (1934-1938), fu organizzato a Ozieri il III Congresso Eucaristico regionale, che registrò una presenza qualifcata di cattolici della regione. Il ministero episcopale di Francesco Cogoni (1939-1975) viene ricordato per la sua presenza al Concilio Vaticano II (1962-1965). Una delle caratteristiche peculiari della diocesi di Ozieri fu, nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, la quantità e la qualità culturale del suo clero. Tra i sacerdoti sono da ricordare lo storico della Chiesa, Damiano Filia, autore della preziosa Sardegna Cristiana in tre volumi; il glottologo e oratore sacro Pietro Casu, autore di romanzi e di un vocabolario della lingua sarda; il letterato Giovanni Antonio Mura.
Nel 1952 il canonico Francesco Brundu fondò il settimanale Voce del Logudoro, periodico che nei suoi sessantasei anni di vita ha svolto un ruolo importante nel formare e organizzare la vita ecclesiale ozierese. Un altro momento signifcativo per la piccola diocesi del Logudoro è stata la creazione cardinalizia, nel febbraio 2001, di un suo fglio: Mario Francesco Pompedda, prefetto della Segnatura apostolica. La ricorrenza del bicentenario della diocesi, nel 2003, è stata preparata con cinque convegni storici, che denotano l’attuale progettualità culturale della comunità diocesana. Altro fglio di questa diocesi elevato alla dignità cardinalizia il 28 giugno 2018 è Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato, divenuto Prefetto della Congregazione dei Santi. Attualmente è vescovo Corrado Melis (dal settembre 2015).
Tonino Cabizzosu