Donami, Signore, un cuore elastico.
Ma com’è possibile convincere di aver preso una cantonata chi ha già sposato la teoria secondo cui è grande colui che è servito e riverito. Di certo sarà difficile trovare conforto sui giornali, televisioni o social dove è ancora più marcata la grandiosità di chi riesce ad ottenere, sbraitando e rivendicando diritti, oppure di chi si è costruito un impero di sudditi fedeli pronti a passare ore a seguire video e movimenti dei propri idoli, oppure la maestosità di chi occupa un posto di potere. E papa Francesco che insiste: è necessario educarci sinodalmente (perché di una faticaccia comune si tratta!) a inaugurare processi piuttosto che spremerci e sgomitare per occupare spazi, poltrone e visibilità. I processi si inaugurano aprendo strade e tenendo a bada la tentazione malsana di recuperare soltanto scorciatoie. Siamo fatti per stare sulla strada e starci assieme. Siamo uomini e donne viatori e sinodali. I processi sono fatti per camminare, per chi è più interessato al tempo da vivere che allo spazio da conquistare, che chi si cura della storia più che della geografia, nel senso che ogni storia va vissuta in profondo a prescindere dalla geografia che abita. Eccola la parola chiave di queste domeniche: vivere in profondo.
Gesù, per vivere in profondità la vita offriva al giovane ricco di condividere tutte le ricchezze coi poveri e ai figli di Zebedeo offre l’ultimo posto! Cioè, offre a loro e a me la possibilità di smettere di preoccuparti di me stesso e promette di regalarmi la gioia di approfittare dell’elasticità del mio cuore. Vuoi essere felice? Cura la felicità degli altri! Smetti di servire il tuo (d)io e regala al cuore l’occasione di fare ciò che più gli è proprio: amare. È l’amore l’arma più potente. Le persone sagge lo sanno perfettamente tant’è che ho incontrato manciate di persone anziane decisamente più preoccupate delle dis-cordie tra i figli che delle proprie cardio-patie. Per loro i veri problemi cardiaci sono gli sguardi dei figli spesso alla rincorsa di beni, di poteri e di posti. Il vero problema è imparare dai colpi della vita che è meglio investire il cuore sulle relazioni che farlo diventare schiavo dello stomaco, è meglio passare su questo mondo da povero che da delinquente, è meglio servire che essere serviti, è meglio fidarsi del Signore che confidare nel potere (Sal 117). Vince la vita chi sale in cielo col cuore più dilatato, più allenato a chiedere di poter amare di più, più abituato a riconoscere che Dio ha cucito un corpo, una vita e una storia attorno al cuore e che tutto è contorno di quel cuore.
Domenica prossima scopriremo che il cuore ha pure degli occhi che servono per guardare e prendersi a cuore gli altri cuori, per vedere il cuore delle cose, capire veramente chi è e seguire solo e soltanto il cuore del mondo. Von Balthasar ha scritto un meraviglioso libro proprio con questo titolo e lo ha dedicato ai giovani: «nessun combattente è più divino di colui che è in grado di vincere con la sconfitta. Nell’attimo in cui egli riceve la ferita mortale, il suo avversario crolla a terra definitivamente colpito. Perché costui colpisce l’amore e viene così dall’amore colpito». Proprio come La ballata dell’amore cieco, la storia di questo innamorato, cieco d’amore, che si sottopone alle prove dell’amata fino a tagliarsi le vene per lei: «fuori soffiava forte il vento, ma lei fu presa da sgomento quando lo vide morir contento. Morir contento e innamorato, quando a lei niente era restato: non il suo amore, non il suo bene, ma solo il sangue secco delle sue vene». Davanti all’amore che rende nitida ogni realtà, tre sono le alternative: dichiarare con sgomento la propria sconfitta, adorare in religioso silenzio un cuore umano già cittadino del paradiso, oppure smettere di «stare lungo la strada a mendicare» e decidersi finalmente ad entrare nella strada e mettere alla prova l’elasticità del proprio cuore. Il cieco di Gerico ha optato con coraggio (in latino cor agere: prendi in mano il tuo cuore… sottinteso: e fanne un capolavoro!) per quest’ultima soluzione, «e subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada». L’amore funziona per contagio: «amore chiama amore» (Teresa d’Avila).
don Giammaria Canu