Ingegneria desertica.
Il curriculum vitae della Parola di Dio è proprio anomalo. Tutti lo sanno che se hai qualcuno da piazzare in posti di peso, c’è da rivolgersi a chi socialmente e istituzionalmente ha peso e potere. Dio no: piazza la sua Parola nel deserto e al personaggio meno indicato. Dio non è per niente un buon pubblicitario che sfrutta i più quotati e denarosi, quelli che possono comprarti in cambio di protezione: «tutto si compra: l’amore, l’arte, il pianeta terra, voi, io» (p. 15 di quel geniale libro di Beigbeder dal titolo Lire 26.900). E invece no. Il Dio che avrà per etichetta la croce inizia la nuova campagna pubblicitaria scartando i poteri (Tiberio, Pilato, Erode, Filippo, Lisania, Anna e Caifa) e facendo planare la sua Parola – tutto quello che aveva da dirci – sul deserto.
Eccoci qua. Il deserto di Giovanni Battista che accoglie la Parola di Dio. L’unica vera certezza: Dio che parla e un deserto che l’ascolta. Se il sole, la luna e stelle e tutte le potenze del cielo saranno sconvolte (Vangelo di domenica scorsa), resta ancora una cosa sicura: il nostro deserto. E il deserto arriva, accade in ogni vita. Il capitolo deserto è l’unico capitolo presente in ogni libro, cioè in ogni esistenza: non si chiude nessuna storia di vita che non sia stata passata per un qualche deserto. E quanto è faticosa, arida, fastidiosa quella regione desertica della vita: priva di orizzonte, di senso e di riferimenti è la prima cosa da chiedere di estirpare al genio della lampada, se proprio ne esistesse uno.
Serve un cuore allenatissimo per trovare sepolti tra la sabbia i biglietti omaggio per il paradiso. Serve che anche quest’Avvento ogni figlio di Dio rinunci ad investire nei vari Tiberio-Pilato-Erode-Filippo-Lisania-Anna-Caifa, imperatori-idoli delle nostre giornate e faccia spazio, proprio nei deserti, al vagito di un Dio che mette tenda a casa mia. Serve un’opera di ingegneria per obbedire ai suggerimenti del profeta Isaia-Giovanni: «ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate». Ma in realtà, l’ingegnere non sono mica io. A me spetta farmi trovare nel deserto con tutto bello spianato e pronto, perché l’Ingegnere passa proprio da lì e si corre il rischio di stare al palazzo di Erode, mentre Dio passa nel deserto!
Il deserto è la perfetta metafora dei miei spazi incontrollabili, delle storie ingestibili, delle esperienze vitali che puzzano di morte, ma soltanto perché non sono più io al timone a governarle, a dettare le regole e l’agenda, perché sono impotente e anzi succube, vagabondo e mendicante di senso, desideroso soltanto che tutto questo deserto cessi e ritorni la città, quei “nonluoghi” (Marc Augé) che mi stordiscono, mi dissipano, mi ubriacano e mi affannano (di nuovo il Vangelo di domenica scorsa), ma almeno mi tengono lontano dalla mia vera storia, dalla mia carne impanata di sabbia da deserto. E quando si sta in deserto non si può stare fermi, indecisi o indifferenti: o si maledice il deserto e si scappa via, oppure si va alla ricerca di qualcuno che può dare senso anche a quel deserto, cioè: si prega. E nella preghiera del deserto affidiamo il progetto di vita all’unico Ingegnere di Parola. Senza deserto non si prega! Fuori dal deserto non si prega! E se continuo ad affidare alle mie capacità la direzione dei lavori, la vita non diventerà mai Vita.
Ecco qua tutto il significato dell’Avvento. Assieme alla Quaresima è un tempo forte, dove Dio manifesta la sua efficacia (sacramentalità) paterna proprio nella debolezza: «quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10); quando so stare nel deserto, è allora che so stare in paradiso; quando trasformo il deserto in preghiera, è allora che trasformo la mia vita in Vita e smetto di cercare la droga della città.
Insomma, c’è ancora da capire che solo «ogni carne vedrà la salvezza di Dio» (così finisce il profeta Isaia-Giovanni nel Vangelo di domenica prossima): cioè solo ogni porzione di umanità capace di passione può essere salvata. E quella carne sono i brandelli della vita che abitano costantemente il deserto. Per questo, nei tempi forti è più che mai decisivo il sacramento della confessione: perché è la guida turistica più feconda per rendere fertile anche il deserto.
don Giammaria Canu