DI DOMENICA IN DOMENICA – a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 2 gennaio 2022.

E il verbo non smette di farsi carne.

 

«Sbaglia chi pensa che nasciamo una volta sola. Per chi vuole vivere, la vita è piena di nascite». Così il cardinale José Tolentino Mendoça. Finché c’è un Dio che parla, la vita andrà di nascita in nascita, come anche: finché ci saranno cose che nascono, Dio non tacerà. Dio, cioè il Verbo, cioè l’arché, l’inizio, il principio, il fondamento e il senso di tutto: «senza di lui, nulla è stato fatto» (Gv 1,3). Quel Verbo, quel Dio, quell’Emmanuele era davanti e sta di fronte ad ogni nascita: è il testimone di tutto ciò che nasce e il garante che ogni cosa che nasce ha un senso, un suo perché e una sua direzione (vocazione): «ni-ente [nessun ente] è senza fondamento» (Heidegger, che aggiungerebbe anche: «ni-ente è senza pro-getto»). Dio ha sempre qualcosa da dire, un verbo da coniugare ad hoc, una promessa da seminare non solo in ogni vagito di neonato, ma anche in ogni vagito di nuova esperienza di vita. Ancora il card. Mendoça: «Nasciamo quando riscopriamo di essere amati e capaci di amare. Nasciamo nell’entusiasmo del riso e nel pianto delle nottate insonni. Nasciamo nell’orazione e nel dono. Nasciamo nel perdono e nel conflitto. Nasciamo nel silenzio o illuminati da una parola. Nasciamo nel portare a termine un impegno, e nella condivisione. Nasciamo nei gesti o al di là dei gesti. Nasciamo sempre e comunque dentro di noi e nel cuore di Dio». Siamo immersi in un oceano di nascite tutte firmate e certificate dall’Emmanuele e tutte cariche di una spinta a crescere, ad accogliere la possibilità di non morire mai, a lanciare ogni nostro frammento di vita verso l’immensa eternità, anche quei frammenti imbevuti nella appiccicosa melassa della morte, della depressione, del fallimento: «nella vita o si vince o si impara, non si perde mai» (Mandela, ma pare l’abbia rubata al vescovo anglicano Desmond Tutu suo amico appena deceduto e potente voce del Vangelo nella terra dell’Apartheid). E ad ogni nascita ti accorgi di essere meno mortale e più cittadino dell’eternità («concittadino dei santi», Ef 2,19) perché ogni nascita modifica geneticamente la definizione greca dell’uomo: non più un thnetos (mortale), ma un mortale con tutti gli indizi della sua immortalità, nato e rinato per non morire mai (Chiara Corbella).

Questo è il grande regalo dell’Incarnato: il segreto che sapeva solo Dio adesso è disponibile ad ogni essere umano che voglia scartare e vivere questo regalo per l’eternità. Infatti, col nostro più sublime atto di libertà, decidiamo noi se rimanere greci o allearci col Dio di Gesù, accontentarci di innalzare il più possibile la speranza di vita sulla terra, oppure dare ragione alla Maddalena e a san Giovanni: resurrexit sicut dixit, è risorto come ci aveva detto, «prima Cristo, che è la primizia; poi, quelli che sono di Cristo» (1Cor 15,23). Decidiamo noi se credere che nella vita c’è un inizio e c’è una fine, oppure credere che la vita e ogni cosa in questa vita ha il suo inizio e il suo fine, il suo senso, il suo logos dall’eternità. Credere che ogni caduta è un passo verso la morte o credere che «d’improvviso / è alto / sulle macerie / il limpido / stupore / dell’immensità» (Ungaretti, Vanità).

San Giovanni, la vetta di sapienza più elevata mai raggiunta sulla terra (sant’Agostino), all’inizio del quarto Vangelo, rivelandoci quello che lui aveva capito della storia d’amore tra gli uomini e il Figlio di Dio, sceglie di raccontare le cose come sono andate prima dell’inizio, quando Dio confezionava nel suo cuore la Parola, la promessa per ogni cosa da creare. Questa parola, ci dice Giovanni, è il Verbo che a Betlemme, al tempo del censimento di Cesare Augusto, diventa carne, il Verbo che si coniuga in ogni carne, al tempo, al modo e alla persona fatta di carne, di carne vittoriosa e di carne ferita. Dall’istante della mangiatoia di Betlemme, la storia di ogni carne umana è sempre la storia di Dio e ogni nascita della mia vita, soprattutto quelle con l’aspro sapore di sconfitta e di morte, sono una pagina della storia di Dio, sono vita di Dio. Si potrebbe azzardare che: dal momento dell’Incarnazione, anche io scrivo la storia di Dio. Sarò io a rischio di eresia, ma Colui che scrive la nostra storia ha rischiato molto più di me cedendo agli uomini la penna per scrivere la biografia di Dio.

Buon anno.

 
 

don Giammaria Canu

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