Addomesticare il vuoto.
«Lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità», alla verità tutta intera… ma per ora la verità è sempre dimezzata e si presenta «a brani» (Calvino, Il visconte dimezzato).
C’è del vuoto sano, del vuoto santo, del vuoto di vita, del vuoto di verità e del vuoto di via: ci sono autostrade deserte pronte ad aprirsi appena affiora quel presentimento di essere mortali ma eterni. Un abisso che a volte prende la forma di un burrone oscuro e altre quella di un mare calmo e ospitale. E il cuore è proprio degli abissi che si nutre: «O eterna verità e vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi mi hai sollevato in alto perché vedessi quanto era da vedere e ciò che da solo non sarei mai stato in grado di vedere. Hai abbagliato la debolezza della mia vista, splendendo potentemente dentro di me. Tremai di amore e di terrore» (sant’Agostino).
Noi siamo vuoto, ma non «siamo soli nell’immenso vuoto che c’è» (Raf). Se ci fidiamo dei mistici, Dio è il vuoto, perché perfino all’infinito manca qualcosa: la fine. Persino l’infinito Dio desidera e realizza un confine («in principio Dio creò il cielo e la terra»), una fine (la morte in Croce, «il negativo di Dio» secondo Hegel) e un fine («per noi uomini e per la nostra salvezza»), desidera cioè fare vuoto della sua divinità: «svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini… facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce… perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi» (Fil 2,7-10).
Probabilmente non ci abbiamo fatto troppo caso, ma l’esperienza della pandemia, l’esperienza della guerra e l’esperienza di tanti altri piccoli e grandi fallimenti sono ad un livello midollare esperienza del vuoto. E col vuoto non si può non dialogare: non lo si può né zittire, né strapparlo. Ma lo si deve imparare ad abitare, ad intervistare e “addomesticare”, che «vuol dire “creare dei legami”. Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo», disse la volpe al Piccolo Principe. Meraviglioso: il mio vuoto è solo il mio, inventato da Dio apposta per me! Inventato da Dio perché io possa rispondere sempre meglio a quell’invito della sapienza antica: «conosci te stesso». Addomesticare il vuoto è un esercizio di verità, di libertà, di umanità.
C’è però una novità tutta cristiana che è dono della fede e che opera lo Spirito Santo: mettiti in ricerca della verità e ti ritroverai fra le braccia di Dio: «Cristo vuole che gli si preferisca la verità; perché prima di essere Cristo egli è verità, non si farà molta strada senza cadere fra le sue braccia» (Simone Weil, Attesa di Dio). Frequentando seriamente il proprio vuoto non si tarda a inciampare nella Trinità.
Ormai lo sanno bene anche i grandi filosofi che più si cerca la verità, più ti ritrovi a parlare della Trinità. Tecnicamente si chiama “ontologia trinitaria” ed è una sorta di scorciatoia per il pensiero: se tanto vai a finire tra le braccia della Trinità, conviene già da subito adattare le strategie del pensare, dell’agire e del parlare a come pensa, agisce e parla Dio. Pensa, agisci e racconta il mondo come lo farebbe un Padre che tutto conosce e crea, come lo farebbe un Figlio che si fa servo e salvatore di ogni uomo, come lo farebbe uno Spirito Santo che di ogni cosa fa emergere il suo “principio e fondamento”, cioè la sua origine e il suo fine in Dio. Vivi come vivrebbe Dio, perché non c’è altra verità per la tua vita. Essa è fatta a immagine di Dio, cioè con una radicale nostalgia di Dio: «Dio onnipotente ed eterno, tu hai messo nel cuore degli uomini una così profonda nostalgia di te, che solo quando ti trovano hanno pace» (Preghiera universale del Venerdì Santo).
Perciò, sacro diritto di ogni persona è ascoltare la vera natura del Vangelo che è intrinsecamente anticapitalistica perché non riempie niente e al massimo aumenta la fame. Gesù nel deserto non mangia, ha fame. La fede è addomesticare la propria vita da affamati. Se smettessimo di dare risposte riempitive e iniziassimo a comprendere che è proprio quel vuoto a raccontare di noi e del nostro bisogno d’amore ed infinito? Quel vuoto da custodire, allevare e dilatare forse è l’unico ritratto possibile della Trinità. Ecco perché è necessario quanto difficile immaginarsi la Trinità: perché del vuoto è impossibile farsi un’immagine o scattare una fotografia, proprio come di Dio.
don Giammaria Canu