Che ogni visita possa essere visitazione.
E come ogni buon Avvento che si rispetti, eccola là una delle scene più parlanti, cariche di pathos, armonia, danza e meraviglia a non finire. È l’incontro di due ventri che lievitano nello stupore davanti al connubio di umanità e divinità (così De Andrè in una pennellata da brividi descrive Giuseppe che incontra Maria ormai vistosamente gravida: «e lo stupore nei tuoi occhi / salì dalle tue mani / che vuote intorno alle sue spalle / si colmarono ai fianchi / della forma precisa / d’una vita recente / di quel segreto che si svela / quando lievita il ventre»: Il ritorno di Giuseppe). Se Giovanni cresce, scalcia e sussulta già nel grembo di Elisabetta, Gesù matura in quel primo tabernacolo che è Maria (sant’Agostino) e che offre a Dio la forma carnale della sua storia nel mondo: «Dio matura» (Rilke).
E poi c’è quella fretta dell’Annunciata che corre da Elisabetta: racconta tutta l’urgenza mariana di toccare con mano i segni, di vedere e di tenere tra le due mani anche il pancione della cugina, come per accogliere a piene mani tutta la promessa dell’angelo. Una corsa verso i monti di Giuda ingravidata da una certezza: «nulla è impossibile a Dio», letteralmente: «nessuna parola è impossibile (sterile) se nata presso (la bocca di) Dio». Erano le ultime parole di Gabriele che accendono la fretta, la sfrontataggine, la spudoratezza (in greco “fretta” traduce un sostantivo che suona spudé) di raccontare il mistero di una cosa impossibile, sterile presso gli uomini, ma possibile se esce da Dio.
La promessa fatta domenica scorsa da Giovanni Battista alle folle, ai pubblicani e ai soldati ha qui la sua radice: «egli vi battezzerà (immergerà) nello Spirito Santo». La pienadigrazia era pregnadiDio, madre del suo Padre e figlia del suo Figlio (Dante), sposa dello Spirito Santo. Il sussulto di Giovanni nel grembo della madre saluta con gioia l’immersione di Dio nella carne umana e annuncia la possibilità per ogni uomo di immergersi in Dio. (Breve intermezzo fuori dalla poesia: ma perché oggi è così difficile immergere e inabissare le proprie fatiche in Dio? Perché si continua a fantasticare attribuendo alle nostre sole capacità umane il carico di non riuscire a risollevare, ad aggiustare, o ad accettare le nostre miserie?).
Tornando alla poesia. In tutto questo quadro rifulge chiarissima la certezza che non si tratta per Maria di una normale visita parenti, ma di qualcosa di più, qualcosa che la tradizione, infatti, ci consegna col nome sacro di “Visitazione”. Personalmente, vi leggo un’altissima sacralità.
Prima di tutto si tratta della restituzione di una visitazione: Dio ha visitato l’uomo e l’umanità intera (me e te che leggi compresi) riassunta in Maria restituisce la visita di Dio. Allo Spirito Santo che scenderà su Maria e all’Altissimo che la coprirà con la sua ombra, Maria risponde alzandosi, uscendo di fretta, facendo strada e scalando le montagne di Giuda. Anche per Dio, che è Dio, la discesa nella carne è stata come scalare una grossa montagna! In linguaggio tecnico si parla di kenosis di Dio, cioè svuotamento: «svuotò se stesso divenendo simile agli uomini» (Fil 2,7). Alla kenosis divina, Maria (nuova Eva, cioè inaugurazione della nuova umanità) risponde accendendo i riflettori sulla sua tapeinosis, la sua piccolezza: è solo con la plastilina dell’umiltà che Dio può plasmare grandi cose. Le cose stanno così per Maria e per ogni uomo che voglia fare grandi le cose della propria vita: se Dio ti visita abbassandosi e scegliendo proprio la povertà, anche tu, fatti furbo (vigile, sveglio, creativo, sapiente, credente), presentagli le tue piccolezze e così non sarà una semplice visita quella di Dio, ma una Visitazione. Diventa Visitazione se ne riconosci la potenza tutta divina che lavora con la tua tapeinosis. Come Elisabetta e Giovanni Battista che sono i primi ermeneuti del Natale, cioè i primi veri interpreti dell’Incarnazione: sussultano entrambi davanti ad una cugina e una zia ingrossata, ingigantita, fatta grande da Dio e diventata «la Madre del mio Signore».
Insomma, ci auguriamo per questo Natale che nessuna chenosi, nessuna incarnazione, nessuna visita di Dio resti sterile, ma diventi Visitazione sacra di Dio che rende fertile e grosso anche il grembo più avvizzito e arido. «E beata colei che ha creduto all’adempimento di ciò che il Signore ha promesso»: «nessuna creatura, solo Dio è capace di fare dal niente qualcosa» (Lutero, Commento al Magnificat).
don Giammaria Canu