Veglione di capodanno liturgico
Siamo arrivati al capodanno liturgico. E come ogni anno si parte con: «Vegliate, perché non sapete quando è il momento in cui il padrone di casa ritornerà». Questa la solfa del Vangelo di domenica prossima, prima settimana di Avvento e primo giorno del nuovo anno liturgico. Ed è ancora la solita storia: un uomo che prima si fa la sua vita (il suo universo!) e poi parte, lasciando quello che ha fatto in mano di custodi fidati (“degni di fede” direbbe la lettera agli Ebrei: non basterà mai riflettere e pregare abbastanza su quest’atto di fede-fiducia che Dio ha nei nostri confronti dopo averci riempito dei suoi talenti). Questo è il racconto di tutto il cristianesimo: Dio crea e poi parte, ma dei frammenti di Lui restano cuciti nei cromosomi dei suoi figli.
Oggi vi voglio parlare di uno di questi frammenti: il desiderio insaziabile che Lui torni vittorioso. Anzi, più che sul desiderio, facciamo zoom proprio sulla veglia, l’atteggiamento che ogni uomo adotta per gestire il desiderio.
Prima di tutto, la veglia è uno stile di vita intelligente. La sentinella non spegne il pensiero che le cose non sono mai come appaiono, ma rivelano sempre qualcosa d’altro e di “di più”, che la notte non è mai una stanza buia senza infissi, ma un indice puntato verso l’alba, che la promessa del sole nascente è la sua più affidabile alleata e amica. Sa, la sentinella, che, nell’attesa, con la testa e col cuore può sconfinare là dove nessuno è ancora stato. Il pensiero sa raggiungere il futuro prima che questo si realizzi, anzi, è proprio per questo che, paradossalmente, la sentinella è sempre un maestro di realismo: osserva il minuscolo granello di senape e vede già un grande albero laddove tutti dicevano che da un piccolo seme può nascere solo una piccola pianta («può forse da Nazareth venire qualcosa di buono?»: Gv 1,46). Chi veglia, insomma, non si lascia persuadere che è reale solo quello che si vede: per Lui è reale anche ciò che si attende. È reale una promessa fatta dall’amato, perché è chiara, ingombrante e infiammata nel cuore della sentinella.
La veglia è, poi, la palestra del cuore. Esercizio di ritorno continuo a quella promessa fatta dallo sguardo dei miei genitori appena i miei occhi sono stati capaci di distinguerne i contorni del volto: «tu sarai un uomo felice!» (e siccome me lo ripetevano col sorriso, ho preso con loro l’aperitivo della felicità!). La veglia è esercizio di fedeltà a una voce che rimbomba nell’anima e tiene accesa la speranza che anche questa volta la notte non è stata inutile. Esercizio di protesta contro il “niente di nuovo di nuovo sotto il sole”, esercizio e allenamento duro, serio e mirato ad assaporare la vita nella sua imprevedibilità: se vuoi vedere bene e chiara la vita rassegnati e fai alleanza coi fatti. Coi fatti che accadono fuori da ogni nostra previsione; coi fatti che trasgrediscono ogni tuo diritto e ogni tuo merito; coi fatti che sfondano o, nel migliore dei casi, sfrondano ogni abitudine, ogni successo facile, ogni presuntuoso potere di comandare il reale. Il reale non si comanda, ma si custodisce (direbbe un gigante come Heidegger).
La veglia è, infine, la cisterna del desiderio e insieme la cucina del desiderio, dove il desiderio matura senza ristagnare, si arricchisce di spezie, fa a pugni con tanti suoi detrattori, cuoce, abbrustolisce, ma non brucia, non si lascia incenerire: resiste sospeso e consapevole di non poter tornare indietro al punto di partenza, ma fiducioso di avere a disposizione tante sentinelle amiche guidate da una grande massima: «se potete guarire guarite, se non potete guarire calmate, se non potete calmare restate». [su questa massima, rimando all’articolo di d’Avenia apparso sul CorSera di lunedì e di cui vi lascio il Qr code].
Ps: chiedo scusa per questo sfogo quasi-filosofico, ma credo che sia un allenamento utile a tenere elastica la mente, così elastica da farle toccare il cuore, una volta ogni tanto, almeno a capodanno (più che semel in anno licet insanire, semel in anno oportet insenescere: una volta all’anno occorre invecchiare, diventare saggi e realisti)!
don Giammaria Canu