Memento nasci.
Non c’è alcun memento mori («ricordati che devi morire») che non si trascini appresso un memento nasci («ricordati che devi nascere»). Il pensiero della fine chiede una mano al pensiero del fine per cui siamo nati. La “memoria del futuro” può diventare occasione di “memoriale della nascita”. “Memoriale” vuol dire che quella nascita avvenuta quando siamo venuti alla luce va resa presente, non ricordandola (per quello ci pensiamo il giorno del compleanno!), ma rivivendola, rendendola presente in ogni nuova nascita quotidiana. Non si nasce una volta per tutte, ma si nasce tutte le volte, tutti i giorni e a tutte le ore. E quindi, non siamo nati per morire, ma siamo nati per nascere un pezzetto alla volta e non basterà una vita a nascere veramente: moriremo tutti mai nati completamente, cioè, moriremo tutti incompiuti! Questo è il messaggio scomodo del Natale (p.s.: non smetto di rileggermi per Natale gli Auguri scomodi che don Tonino Bello indirizzava più di 20anni fa alla sua diocesi): hai ancora un bel po’ da far nascere. Diceva Erik Fromm: «il primo compito della vita è dare alla luce se stessi».
E ogni nascita quotidiana è un miracolo, cioè un inatteso, un apparire del nuovo sulla scena del mondo, mai fotocopia, ma sempre un unicum. È la creazione di Dio mai ripetitiva. Opera di artigiano e non di industria. Ha il carattere della sorpresa, della meraviglia e della promessa che si realizza in modi, spazi e tempi diversi da come si potrebbero immaginare. Per questo ogni nascita, ogni rinascita è miracolo: perché nulla si ripete uguale a se stesso, ma si presenta nella sua unicità. E questo vuol dire che serve un cuore d’uomo perché il miracolo sia pieno. Serve un cuore che osservi il nuovo che è avvenuto. Serve lo spirito che si lasci ferire dall’unicità del miracolo. Come afferma Agostino: l’uomo è stato creato perché avessero un senso gli inizi (Initium ut esset creatus est homo) sennò nessun inizio è un miracolo, ma un semplice scivolare di un evento sull’altro o un noioso avvicendarsi di eventi che ciclicamente devono accadere come le operazioni di un pc. Non esiste miracolo senza un uomo che ne accolga la novità, lo stupore, lo struggimento. Ogni miracolo attende una umanità che si lascia scuotere e sappia cogliere il “senso”, cioè il fine e la direzione verso cui il miracolo traccia il nuovo cammino.
“Ricordati che devi nascere” è quindi l’augurio del Natale, l’appello del presepe, il regalo da scartare ogni giorno. E Domenica prossima, Vigilia di Natale, il Vangelo ci porta a casa di Maria, a Nazaret, dove avviene il grande miracolo dell’“inizio di Dio nella carne”: Lui che è senza inizio e senza fine, senza storia e senza geografia decide di iniziare una storia, di scegliere una regione, una città e una casa, di «abbreviarsi in un grembo» (diceva san Bernardo). E inaugura il nuovo tempo, uno scatto nella storia, un kairòs gravido di grazia, un picco nell’elettrocardiogramma dell’umanità. Il tempo in cui si smette di meritarsi lo sguardo benevolo di Dio e si inizia ad accorgersi che Lui ama già tutti e tutto, ma che aspetta l’Eccomi della sua creatura per realizzare cose grandi, i miracoli immensi, i passi da gigante per l’umanità. Come per Maria, anche per me vale il principio: ogni “Eccomi” detto a Dio è l’inizio di un nuovo mondo; ogni gravidanza quotidiana, anche minuscola e nascosta, è l’inizio di una nuova creazione; «generi un figlio e rigeneri il mondo» (Ermes Ronchi).
Il padre della Chiesa Pietro detto “Crisologo”, come dice il suo soprannome, ha “parole d’oro” proprio riguardo alla stessa pagina del Vangelo:
«Che significa: Il Signore è con te? Che viene da te, non per visitarti, ma entra in te con una nuova, misteriosa nascita. Aggiunse: Benedetta tu fra le donne. Perché ora Maria benedetta gode, è onorata, è contemplata per quei motivi per i quali Eva puniva le maledette sue viscere. Ed ora è divenuta veramente madre dei viventi secondo la grazia quella che prima era madre dei morenti secondo natura […]. Subito sente che è stato accolto in lei il supremo giudice, mentre prima aveva visto e contemplato il celeste messaggero. Sebbene, infatti, Dio con dolce commozione e con devoto affetto trasformasse la vergine in sua madre, sebbene il Signore mutasse la serva in sua genitrice, tuttavia le viscere furono turbate e la sua condizione fu presa da tremito, quando Dio, che nemmeno il creato intero può comprendere, si ricoverò e collocò tutto entro un petto umano».
don Giammaria Canu