La vita non basta.
«Il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della Maestà nei cieli» (Eb 8,1). Cioè: il cuore delle cose, di tutte le cose dette e vissute da ogni uomo, in ogni epoca e in ogni geografia, sta nella Grande Passione di Dio per la vita. Gesù è così grande, così alto, così Dio che la sua promessa non può non avere a che fare con la sua stessa vita. E in particolare la promessa sulla vita dell’uomo che quella Pasqua risucchia l’uomo verso la vita eterna, infinita e felice con lui. Il nodo da sbrogliare è la domanda: «perché mai è così difficile riconoscere che senza la Pasqua la mia vita è tutta l’espiazione di una condanna a morte?». No. Noi non siamo nati per morire! Nella Pasqua è nascosto il segreto dei miei giorni e delle mie decisioni sulla terra. Nel Triduo pasquale si concentrano le risposte alla domanda: «ma io per cosa sono vivo?».
E infatti: il segreto del Giovedì Santo è la certezza che il Dio di Gesù non cerca sudditi, ma amici.
Il segreto del Venerdì è che gli occhi vanno lucidati per bene per riconoscere e contemplare dietro ad ogni vita donata la ragione stessa dell’esser vivi.
Il segreto del Sabato è che ogni silenzio, compreso il silenzio di Dio è il racconto del seme che senza alcun rumore, senza violare nessuna libertà, senza imbrogliare bruciando le tappe, marcisce e dà altra vita.
Ma il segreto della Domenica è che c’è vita e Vita. Diceva Pessoa: «tutta l’arte è la testimonianza che la vita non basta». Anche la Pasqua racconta lo stesso immenso mistero: la vita non basta. C’è sempre un di più infinitamente più immenso da vivere. Il cuore percepisce che quel che si può vivere è veramente minuscolo rispetto alla Vita che è preparata per me, per te e per noi assieme. E intuire questa verità porta inquietudine al cuore e fa fare cose pazzesche. Proprio come le corse rocambolesche di Maria di Magdala, di Pietro e di Giovanni quel primo giorno della settimana. Il primo giorno della storia di un’altra vita, di un altro racconto, di un altro Vangelo, di un’altra era, di un altro universo, di un altro modo di guardare e di stare al mondo. Quella prima Pasqua era l’alba di tanta roba nuova.
Domenica ascolteremo il Vangelo delle corse, delle urgenze, e quindi dei ritardi: davanti alla vita che non basta, ai colpi di scena, alle sorprese di Dio siamo sempre in ritardo, inadeguati e lenti, lenti, lenti. Dei sorpassi di Dio è pieno il Vangelo, ma quello della Pasqua è proprio decisivo: più che “passaggio”, Pasqua vuol dire sorpasso definitivo e vittoria stracciante della vita su ogni morte. A partire da quella Pasqua la morte non porta più con sé la parola fine. E per definizione, perciò, non è più morte, ma passaggio, sorpasso, altra vita.
E allora si corre. Tutti di fretta nel Vangelo di domenica. Come se Maria di Magdala, Pietro e Giovanni si sentissero in debito d’amore. Che poi in amore ci si sente sempre in debito e in ritardo: «amiamo sempre troppo poco e tropo tardi» (Benigni). Come quell’adagio medievale che recita: «i sapienti camminano, i giusti corrono, solo gli innamorati volano». E questo vuol dire che l’amore è una forma di conoscenza, anzi la più rapida forma di conoscenza. Chi ama o è amato capisce di più, capisce prima, capisce più a fondo. Come il Discepolo che Gesù amava. Arriva di corsa al sepolcro, aspetta Pietro, poi entra e: «vide e credette», kai eiden kai episteusen. Tac-tac. Botta e risposta. Azione-reazione. Scattante e immediato, non ha più bisogno di altro per capire, per l’ennesima volta, che la vita non bastava più, che l’amore l’aveva di nuovo trasportato altrove, che gli occhi raccontavano solo la buccia del prelibato frutto della Vita.
Lascio come augurio pasquale un esempio dell’affascinante motivo patristico che affianca la tomba vuota al grembo materno che spalanca alla vita. Sono le parole di san Giovanni Crisostomo: «Come posso svelarvi queste realtà nascoste o proclamare ciò che va oltre ogni parola o concetto? Come posso deporre davanti a voi il mistero della risurrezione del Signore, segno salvifico della sua croce e dei suoi tre giorni di morte? Infatti, ogni evento accaduto al nostro Salvatore è un segno esteriore del mistero della nostra redenzione. Come Cristo è nato dal grembo verginale inviolato di sua madre, così anche lui è risorto da un sepolcro chiuso. Come lui, il Figlio unigenito di Dio è stato fatto primogenito di sua madre, così attraverso la sua risurrezione è diventato il Primogenito fra i morti. La sua nascita non ha rotto il sigillo dell’integrità verginale di sua madre, né il suo risorgere dai morti ruppe i sigilli del sepolcro. Così, come non posso esprimere pienamente la sua nascita a parole, non posso neppure comprendere interamente il suo venire fuori dal sepolcro».
Possiamo tutti non accontentarci mai della vita e cercare sempre altri grembi per entrare nella Vita vera.
don Giammaria Canu