Ancora un buon padre/madre.
«Un uomo aveva due figli»… mi pare di conoscerla già questa parabola e di sapere anche come va a finire. E invece, no. Questo è Matteo, che non ha la parabola del Padre misericordioso o del Figlio prodigo e pentito di Luca, ma ha questa potente icona dei due figli e del Padre/Madre che non rivendica nessun diritto autoritario, come per esempio quello di costringere i figli a lavorare la “sua” vigna, ovvero quella che un giorno sarà la “loro” vigna. Se nel Padre misericordioso di Luca la caratterizzazione femminile del padre è dipinta (proprio come fa Rembrandt in una sua famosa tela) nelle mani che prima sanno attendere e poi abbracciano, accolgono e avvolgono, in questa versione di Matteo l’assenza di autoritarismo da parte del padre evoca un tratto femminile di grande misericordia. Il primo figlio dice di non voler andare, «ma poi si pentì e vi andò»; il secondo dice di obbedire al suo “signore”, «ma poi non vi andò». Due figli “sbagliati”, proprio come in tutte le famiglie e proprio come nella grande famiglia umana: mai un figlio spiccicato ai sogni di babbo e mamma! Due volti completamente diversi anche nella risposta alla chiamata, alla stessa chiamata, quella alla vita, alla felicità («il vino che rallegra il cuore dell’uomo», Sal 104,15), all’eredità immeritata. E solo la mamma in quei 9 mesi impara che «ogni figlio è un figlio unico» (Lévinas), originale.
Qualche osservazione: vuoi che questo padre non abbia calcolato che il primo figlio della parabola, quello difficile, quello svogliato, quello sindacalista, ribelle e contestatario avesse necessità di ricevere per primo la chiamata? Un po’ come il padrone di casa della scorsa settimana che nella sua bontà riconosce la miseria del cuore dei lavoratori dell’ultima ora e dà a questi ultimi (mostrandolo pure ai primi) la stessa paga dei primi, affaticati e invidiosi. Anche qui è molto più forte la misura femminile della paternità espressa dall’attesa: «l’attesa è una figura profondissima della maternità perché rivela che il figlio viene al mondo come una trascendenza incalcolabile, impossibile da anticipare, destinata a modificare il volto del mondo» (Recalcati). Gli operai dell’ultima ora, pur attendendo qualcuno che li prenda a lavorare, in realtà sono attesi, sono oggetto del desiderio del padrone della vigna che Matteo però chiama “padrone di casa” (e cioé “padre di famiglia”, oppure, ancora meglio, per lo meno nei nostri paesi: “mamma, la regista della casa”). Proprio come il Padre misericordioso di Luca che mostra l’amore nell’attesa viscerale. Ma anche come l’altro Padre imprenditore vitivinicolo di questa settimana, capace di attendere non solo la risposta vocale, ma soprattutto la risposta fattiva dei figli.
E ogni chiamata del padre alla vigna è una rinascita. Si rientra nell’utero materno, ma con una differenza: adesso il figlio può decidere se rinascere o restare coccolato dal calore materno, se inabissarsi nella comfort zone del dolcefarnulla, o lanciarsi verso la vigna, promessa della festa bagnata dal buon vino, ma soprattutto eredità del padre. A chi va l’eredità? A chi ha accolto l’invito del Padre/Madre a diventare figli: come la paternità e la maternità, anche la figliolanza si conquista sul campo. E le statistiche suggeriscono a Gesù che «pubblicani e prostitute passeranno avanti nel regno di Dio». Perché, non si sa! Si sa solo che si pentono con più facilità perché sono allenati a rimescolare le carte della loro vita, a fare passi indietro, ad attendere un padre/madre che forse non hanno mai riconosciuto, insomma, abituati a nascere e rinascere in continuazione.
Un’ultima osservazione la raccogliamo dal grande padre orientale Giovanni “Crisostomo”, la cui “bocca d’oro” (questo il significato del suo soprannome) nel IV secolo predicava un’ulteriore sfida per quei figli che vivono col padre una relazione di schiavitù: quella di imparare dai primi che pur avendo manifestato inizialmente diniego, poi si sono “pentiti”. Così il Crisostomo: «i pubblicani, prima di tutto, hanno prestato attenzione a Giovanni Battista, e oltre a questo, c’è ancora un’altra accusa, che voi non gli avete creduto neppure dopo quelli. Avreste dovuto credergli prima di loro; non averlo fatto nemmeno dopo di loro, vi ha privato di ogni indulgenza. È venuto a voi e non l’avete accettato; non è venuto a loro e l’hanno accolto: nemmeno quelli avete avuto per maestri».
Ecco il buon padre/madre: chi sa attendere che anche i figli più lenti acchiappino la vita e chi insegna ai figli perfetti a imparare dagli imperfetti l’arte di riconoscersi incompleti e aperti sempre ad un di più, cioè a riconoscersi figli. Il «meglio deve [sempre] ancora venire» (Ligabue).
don Giammaria Canu