Semi e sogni di Dio.
Fa proprio piacere e fa bene al cuore vedere la semplicità, la scioltezza e la delicatezza con cui Gesù sceglie le immagini per raccontare Chi è Dio e come Dio sogna l’uomo. Non c’è dubbio: è il più grande comunicatore della storia! Prende le storie della vita quotidiana e le fa diventare la storia di Dio e delle sue avventure con gli uomini che ama. Gesù invita a prendere tutto, ogni creatura e ogni esperienza come una scuola. Ci suggerisce di stare sempre a scuola e di non smettere di ascoltare il Vangelo che parla tutte le lingue del mondo, quelle degli uomini e quelle delle piante, quelle degli uccelli e quelle delle nuvole, quelle della sofferenza e quelle dell’amore. La vita si vince imparando tutte le lingue del mondo e ascoltando il racconto fatto da ogni cosa creata.
Nel Vangelo della prossima domenica, due parabole agricole: quella del seminatore e quella del granello di senape. Sono le parabole del Dio che si sporca le mani e dell’uomo capace di rispondere alla semina con l’esplosione della vita. Lo spreco del seminatore e l’esagerazione atomica che fuoriesce dal più piccolo di tutti i semi.
Innanzitutto, il seminatore: è il compito, la missione, la vocazione di ogni uomo, quella di mettere semi, coltivare, curare, custodire e accompagnare la crescita di qualcos’altro. In ogni creatura c’è Vangelo, c’è Parola di Dio, una lettera del suo messaggio per gli uomini. Tutto ha la firma di Dio e quindi tutto è “capace di Dio”. Gesù posa lo sguardo sul contadino e dice: quello è Dio e il mondo è come un enorme santuario, fatto di opere benedette e consacrate da Dio. Il seminatore getta seme dappertutto. Sa perfettamente che molto di quel seme non germoglierà, ma non per questo smette di seminare, non per questo cambia lavoro, anzi: proprio perché molto del seme non porterà frutto, lui deve abbondare di semina e poi compiere il gesto materno dell’attesa. Mica conosce quale seme porterà frutto e quale invece si seccherà al sole. Sa solo che il tempo è suo alleato e che non c’è istante, notte né giorno che qualcuno misteriosamente non lavori con quel seme. È una fiducia immensa sulle possibilità enormi di quel seme. Ma è una fiducia altrettanto enorme sul terreno: è Dio che si fida immensamente del terreno, del cuore che accoglie il suo seme, la sua parola e i suoi sogni. È una bellissima parabola che avvicina Dio alla sua creatura più amata e più buona di tutte.
E infatti, c’è l’altra parabola subito appresso: il regno di Dio è come un granello di senape. Il regno di Dio e il regno degli uomini si intersecano e si scambiano in un minuscolo seme. Lì c’è tutto. Dio, l’onnipotente, il Signore degli eserciti non ha niente di minaccioso, ma anzi si lascia prendere in mano e adagiare sulla terra degli uomini. Chissà che scandalo questo paragone dell’infinitamente grande con il più piccolo della terra. Ma Gesù, il maestro e l’artista della comunicazione innesca subito il processo dello stupore: quel piccolo seme che è il regno di Dio ha una capacità immensa di crescere e come una molla da “il più piccolo dei semi” ritorna ad essere “la pianta più grande dell’orto”, capace di dare ombra e di sorreggere e sostenere la nascita di nuove creature, di nuovi pulcini che presto rimetteranno in collegamento la terra col cielo.
«Il tutto nel frammento», direbbe von Balthasar. La meraviglia del poco che custodisce il tutto. E tutto dice che Dio è nemico di ogni stagnazione, di ogni irrigidimento e di ogni immobilismo. E come si sa scientificamente che uno dei dolori maggiori presenti in natura è quello del bruco che si trasforma in farfalla, si sa altrettanto che la crescita di una pianta è immensamente sofferente per la pianta stessa! Ecco Dio: non gli interessa di soffrire, pur di vedere un figlio libero che porta la sua vita verso la felicità che Dio sogna per ciascuno dei suoi figli.
Ecco una commovente pagina di Ambrogio che parla di due martiri sconosciuti a Milano ma diventati fecondissimo “seme di nuovi cristiani”: «I suoi chicchi sono, in realtà, cosa semplice e di poco valore: ma se si comincia a sminuzzarli, mandano fuori tutta la loro energia. Anche la fede, in primo luogo, è semplice, ma se vien macerata dalle avversità, essa effonde l’incanto della sua forza, talché riempie col suo aroma anche coloro che ne odono parlare o leggono a suo riguardo. Un chicco di senapa sono i nostri martiri Felice, Nabore e Vittore; essi avevano il profumo della fede, ma nessuno li conosceva. Venne la persecuzione, deposero le armi, piegarono il capo, e fatti a pezzi dalla spada sparsero per i confini di tutto il mondo il fascino del loro martirio… Anche il Signore è un chicco di senapa. Egli era immune da ogni offesa, ma il popolo lo ignorava, come un chicco di senapa, perché non lo aveva ancora mai toccato».
don Giammaria Canu