Il Dio dei miracoli e i miracoli di Dio.
Non poteva Dio impegnarsi un po’ di più e fare il mondo e l’uomo un po’ migliori? E se lo chiedessimo a Dio stesso: «non ti importa che siamo perduti?». E Dio muto, anzi no: parla con gesti e parole che sembrano rispondere ad altre domande. Dio sale sulla barca della vita, sta nella tempesta e assieme all’uomo lotta contro il male. Questa è l’unica risposta che sappiamo di Dio.
Il Vangelo di Marco della prossima domenica, dopo la giornata delle parabole, ci accompagna sul lago di Galilea, per una giornata di miracoli. La nostra vita è un po’ come quel lago: alle volte l’acqua è calma e altre volte è agitata; a volte è fredda, altre volte tiepida o calda; a volte salata e altre volte dolce e piacevole; alle volte ascoltiamo cose meravigliose, altre volte siamo testimoni di miracoli.
Gesù vede la giornata delle parabole terminare e chiede di voltare pagina, di essere accompagnato ad evangelizzare altri capitoli dell’umanità, di «passare ad un’altra riva», di cambiare scenografia. È decisamente refrattario ad ogni stagnazione, ad ogni tentativo di irrigidimento e di schiacciamento. La vita è un grande motore che chiede di essere usato per spostarsi sempre, per cercare, per crescere, per incontrare, per tornare sui propri passi, per accompagnare altri a recuperare altri pezzi di vita… Tutto nella vita è esplorazione di nuove rive, di nuove sponde su cui ormeggiare e da cui poi ripartire. E i discepoli sono obbedienti alla vita: «presero con sé Gesù, così com’era, nella barca». È curioso e stuzzicante quel “così com’era”. Se lo prendono senza alcuna esigenza di averlo a proprio uso e consumo. Sembra il monologo di Gesù nell’Eucaristia: «prendimi, accoglimi, portami con te, così come sono e sarò io a fare della tua vita un capolavoro, prima che tu mi chieda qualcosa. So io di cosa hai bisogno!». Qui si trattava di prendere a bordo un Gesù stanco, di consolarlo, di prendersene cura. E Gesù prende sul serio la bontà dei discepoli. Si sente al sicuro, protetto e coccolato dalla loro delicatezza di fratelli e amici. Tant’è che si addormenta, come un bambino cullato dalle onde: il mare come due braccia calde, la barca come una culla a dondolo, la voce entusiasta dei discepoli che ripetono le parabole come una soave ninna nanna.
Poi il contrasto stridente, fastidioso e inaccettabile: la tempesta che incalza e Gesù che continua a dormire. Il Maestro addormentato sul cuscino e i discepoli in rovina che imbarcano acqua. Gesù si fida di quei marinai navigati. Non lo sveglia la tempesta. È la vita una tempesta e non disturba i piani di Dio. C’era fin dall’inizio la tempesta, la sorpresa, i piani che saltano, i riposini spezzati dagli imprevisti. Sembra un Dio fannullone, distratto o insufficiente, un Dio che fa male i calcoli, permette il male e non si impegna abbastanza. E invece è semplicemente il Dio che sta con me, che riposa con me quando le acque sono favorevoli e che lotta con me quando la paura ci imprigiona. Non il Dio dei miracoli che tappano i buchi e le perdite, ma i miracoli di un Dio che non abbandona la mia vita soprattutto quando arrivano le tempeste. Spesso abbiamo più fede nei miracoli di Dio che nel Dio dei miracoli! E invece il vero miracolo è la sua presenza, il sentirlo adagiato, silenzioso e innamorato della mia vita, che piange con me, gioisce con me, si arrabbia con me e riposa con me, che lotta con me e vince con me.
È la paura una grande nemica della fede. Ma non perché anestetizza la speranza che Dio possa risolvere il caso, ma perché impedisce di riconoscere che Dio c’è da qualche parte e sta lavorando con me e per me, che è alleato e desidera la mia stessa felicità: «minacciò il vento e disse al mare: “taci, calmati”». A volte la paura accieca la nostra capacità di vedere Dio nella mano tesa di un amico, perché Dio non lascia che la nostra barca affondi, ma lascia che possiamo accorgerci della sua presenza amica e alleata. Ha fatto così anche col Figlio: non l’ha salvato dalla croce, ma l’ha salvato nella croce. C’è sempre della luce nelle tempeste, dell’oro nelle ferite, del senso nella fatica. Per dirla col Padre della Chiesa Pietro Crisologo: «in mezzo alle nostre prove, possiamo destare il Cristo che dorme in noi».
don Giammaria Canu