DICEVANO I PADRI – a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 19 Novembre 2023.

Pezzi di paradiso nelle mani.

 

«Chi non ama perde pure l’amore con cui è amato». San Gregorio Magno ha lasciato alla storia questa preziosa sintesi della parabola dei talenti che ascolteremo questa prossima XXXIII domenica del tempo ordinario.

Siamo alla conclusione dell’Anno Liturgico e quando un tempo si chiude, si setacciano le esperienze vissute e si cerca di puntare i riflettori su ciò che di prezioso possiamo portarci appresso nel nuovo tempo che ci verrà donato di vivere: conta solo ciò che vale; il resto, ciò che ha perduto valore col tempo, è consegnato al passato, è zavorra da lasciar cadere.

La parabola dei talenti (dei mezzi milioni di euro, più o meno!) racconta proprio di ciò che rende valorosa una vita, del segreto dei segreti da mettere in valigia per i prossimi viaggi, delle istruzioni per l’uso della vita: la vita si vive vivendola (per niente banale); l’amore si ama amando, direbbe san Gregorio Magno. «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore» (san Giovanni della Croce) e non sulla perfezione. Al tramonto ci si prepara alla notte accendendo le lampade, cioè consumando l’olio di cui si è fatto tesoro. La parabola dei talenti nasconde, infatti, lo stesso suggerimento della parabola delle 10 vergini: pòrtati sempre appresso qualcosa da trasformare in luce; punta sempre a investire in altra vita quel po’ di vita che ti è stato consegnato. Qualcuno si è fidato di te pur essendo a conoscenza della povertà, fragilità e debolezza dei tuoi mezzi, ma ti ha affidato un tesoro. Te lo ha cucinato proprio su misura per te, confezionato solo per te, pensato esclusivamente per le tue capacità. È tuo adesso, siine buon custode, amministratore scaltro e moltiplicatore innamorato. Guai a te se lo spegni, se lo soffochi, se lo consegni alla terra, se lo sotterri, se ti sotterri! Se pensi di non farcela, guardati attorno e individua un banchiere, cioè uno che vive ad alta quota ed è capace di portare anche te in quelle vette di vita.

C’è poi il colpo di scena: quando il padrone ritorna, alla resa dei conti, non solo non chiederà indietro ciò che è suo, ma rilancerà infinitamente più in alto: sei stato fedele nel poco (in realtà, mica pochi quei milioni di euro!) e io ti do molto di più. Ti do la mia stessa gioia, ti do proprio me stesso. È Dio che ci promette: «sei stato fedele con la tua vita, adesso con infinita gioia, ti posso consegnare la mia stessa vita». È Dio che gode dell’efficacia del suo amore: ha fatto bene a fidarsi, a investire il suo amore perfetto sul nostro amore scalcinato, miope e zoppo. In realtà, ogni suo atto di amore per me è completo solo se si completa non mio amore, sennò rimane una miccia che non scoppia. E questo vuol dire che Dio ha dato a noi il potere di rendere compiuto il suo amore, oppure di renderlo vano, sterile, inutile.

In queste parabole sul fine-vita (sul fine, non sulla fine!) è chiaro l’immenso desiderio del cuore di Dio di allargare il suo paradiso e di farlo dipendere dai nostri investimenti di vita. Dio prepara i posti, prepara il banchetto, prepara la festa, ma è la vita di ciascuno di noi a rendere il paradiso un meraviglioso giardino. Ogni nostra azione che moltiplica vita è un pezzetto di paradiso che si aggiunge, si amplia ed è pronto a far festa. C’è proprio da pensarci bene ogni volta che siamo di fronte alla scelta se spendere la vita in qualcosa di grande e ampio, oppure rinchiuderla nell’abbraccio caldo e comodo di un divano. Proprio in quella scelta è nascosto un pezzo di paradiso che Dio ha affidato a me, alla mia cura, al mio cuore, esattamente con le stesse consegne dell’Eden affidato ad Adamo e Eva: «siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,28). A ognuno di noi spetta il compito di aumentare il paradiso, anche solo di qualche centimetro quadro. E infatti, ogni moltiplicazione di vita, opera dell’uomo, è un nuovo sesto giorno della creazione: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31), la stessa bontà riconosciuta dal padrone della parabola: «Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone».

Il vero talento, strizza strizza, è l’opportunità di amare. «Solo l’amore crea» (san Massimiliano Maria Kolbe). Solo l’amore moltiplica. Solo l’amore porta frutto e amplia lo spazio del paradiso. Solo l’amore fa diventare utile ogni altra nostra virtù. Ancora meglio: solo l’amore ti fa accorgere che sei uno scrigno di virtù. Così commentava ancora san Gregorio Magno la conclusione della parabola: «A chi ha, dunque, sarà dato e si troverà nell’abbondanza; nel senso che chi ha la carità riceve anche gli altri doni, mentre chi non pratica questa virtù perde anche i doni che sembrava avesse ricevuto».

 

don Giammaria Canu

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