Voce del Verbo Amare.
Domenica scorsa, nell’iniziare con l’Avvento il nuovo Anno Liturgico, è rimbalzata in maniera pervasiva la parola “improvviso”: «fate in modo che il padrone, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati». Quell’avverbio dice tanto di Dio. Forse troppo! Un lusso per noi rintracciare attraverso quell’avverbio notizie sullo stile di Dio e sullo stile del suo agire sul mondo, con il mondo e attraverso il mondo degli uomini. Dietro quell’avverbio, Dio s’è messo a nudo come nella grotta di Betlemme e ha rivelato fin troppo di sé. Ma se l’ha fatto, vuol dire che c’è una sapienza che possiamo cogliere.
L’“improvviso” ha sicuramente a che fare con “vedere” (in-pro-videre: non poter vedere prima, in anticipo, per tempo). Con gli occhi del cuore, quindi, non con gli occhi della carne già ubriachi di vetrine sberluccicanti. Improvviso è Dio che graffia il cuore mandandolo in cortocircuito, in apnea, in blocco, almeno il tempo che serve perché il cuore si renda conto che qualcosa di nuovo sta accadendo. Improvviso è lo squarcio sul previsto. Dio si manifesta sempre nella forma dell’im-pre-visto e dell’im-pre-vedibile. Dio è sempre la sorpresa sul mondo e sull’uomo. Si tratta però di coglierne il segno, positivo o negativo. Qui entra in gioco la fede. Se Dio ac-cade come im-prov-viso (non pensavo arrivasse così di fulmineo!), im-pre-visto (non me l’aspettavo mica così!) e im-pre-vedibile (non ci sarei mai arrivato a pensarlo così!), il cuore può disporsi in due atteggiamenti uguali e contrari: la paura di una minaccia o la speranza di una promessa. Se la vita si gioca sul filo della minaccia, Dio sarà pauroso. Se la si gioca sul filo della speranza, Dio sarà attesa di una promessa. Tutto qui! Dio è questo imprevedibile imprevisto improvviso che stuzzica gli occhi del cuore e non lo lascia tranquillo [pubblicità! Suggerimento librario per Natale: regalare/si il buon libro di Benasayag e Cohen, L’epoca dell’intranquillità. Lettera alle nuove generazioni]. Dio av-viene nel mondo col suo carico di incompletezza: aspetta la risposta del cuore umano e scommette sulla capacità dell’uomo di ospitarlo tra le sue cose più preziose.
Non solo. Domenica prossima sarà protagonista del Vangelo Giovanni Battista. All’inizio, alla riga di partenza, alla pistola che dà il via san Marco mette Giovanni per dire che quando Dio inizia, inizia sempre rimescolando le carte: «vi fu Giovanni che battezzava nel deserto». Giovanni è voce che prepara la via, una via possibile nel caos, la via che si apre nel deserto tormentoso, la via che chiede di essere percorsa. È la stessa via che Dio sta percorrendo verso di noi. Quella voce che è Giovanni porta una promessa, quel fiato che attraversa le corde vocali trasformandosi in grido consegna una parola, consegna la Parola, il Verbum che ci immergerà non più nell’acqua (siamo troppo preziosi per stare sott’acqua a boccheggiare!) ma nello Spirito Santo, nella stessa vita di Dio Amore: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Sant’Agostino ha pagine favolose su Giovanni Battista. Eccone una che parla di Giovanni come la voce che porta la parola: «La voce giunse a noi prima del Verbo. In che senso la voce prima del Verbo? Cosa si dice del Cristo? In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Ma per venire in mezzo a noi il Verbo si fece carne e così poté dimorare fra noi. Abbiamo ascoltato come Cristo sia il Verbo; ascoltiamo ora come Giovanni sia la voce. Quando gli fu chiesto: Tu chi sei?, rispose: Io sono la voce di uno che grida nel deserto. Chi è prima, la voce o la parola? Vediamo il senso di questi due termini e sapremo chi preceda nell’esistenza.
don Giammaria Canu