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DI DOMENICA IN DOMENICA - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 21 febbraio 2021


Restare, voce del verbo amare.


«Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase…». È inutile: quando si ha a che fare con l’amore «il tempo è superiore allo spazio» (papa Francesco non smette di ricordarcelo). Serve tempo per poter amare anche il più arido degli spazi che, aimè, abitiamo. E a questa legge (una delle più divine!) sottostà pure il Figlio di Dio: le cose dell’amore sbocciano da un’immersione nel tempo.

Dopo il Battesimo nel Giordano e il certificato di “Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” rilasciato da Giovanni Battista, Gesù aveva tutti i nulla osta per esordire sulla scena del mondo con fuochi d’artificio, a fare miracoli, raccontare sapienti parabole e far fare tante figuracce a scribi e farisei… insomma a fare il Messia come si deve! E invece no: il tempo è superiore allo spazio, sennò lo spazio fagocita il tempo e al posto della novità di un Dio che viene al mondo per insegnare agli uomini ad essere uomini la gente capisce che ha davanti un super profeta (con i dovuti distinguo, il Corano tratteggia così il grande profeta Gesù di Nazareth!), un uomo con poteri e indice di gradimento straordinari, un risolutore universale di problemi sociali, sanitari e politici.

Domenica scorsa il Vangelo ci ha lasciato con Gesù che, per colpa (o merito!) di quel povero lebbroso purificato, «non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte». Poteva immaginarselo che un usignolo liberato dalla rete avrebbe volato e cantato in lungo e in largo che cosa gli è capitato. Ma restiamo ai propositi di Gesù che nei Vangeli non smette di ammonire i miracolati di non raccontare niente, ma di custodire nel cuore, perché quello che è avvenuto sulla pelle trovi collocazione adeguata, serena e armonica nel cuore. È il tempo che imprime nel cuore ogni esperienza: è il tempo che hai dedicato a quel miracolo che rende quel miracolo così importante per te (parafrasi della volpe del Piccolo principe: «è il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante»). È commovente notare come Gesù piano piano osserva gli uomini e si lascia muovere interiormente quasi a imparare dal loro modo di vivere. Ha ragione il saggio von Balthasar, criticatissimo per questa intuizione dal sapore eretico, ma ormai accettatissima e inflazionatissima: Gesù, guardando gli uomini ha imparato a fare il Figlio di Dio!

Domenica scorsa ha imparato dal lebbroso cosa vuole Dio, anzi, cosa non vuole Dio: nessuno dei suoi figli può restare imbrigliato nella morsa dell’atroce ipotesi (una tesi per scribi e farisei) che una malattia come la lebbra possa essere la punizione per qualche errore commesso.

Domenica prossima, la prima delle 5 tappe della Quaresima, Gesù impara nientepopodimeno che dal diavolo, «il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto» (Gen 3,1). Ecco cosa impara: come ogni lebbra, ogni deserto, esterno o interno che sia, invoca un cuore che lo abiti e non delle gambe per figgire lontano o cancelli che lo chiudano fuori. Ogni terra arida ha il diritto alla sua fioritura (cf. Is 35,1). Ogni steppa, anche la più aspra e sconfinata, custodisce da qualche parte la promessa della sua bellezza e solo dimorandoci abbiamo la possibilità di scoprirne la ricchezza. Sono le membra più fragili e desertiche di noi a richiedere un surplus di cura, un di più di tempo, energie e amore. Gesù impara dal diavolo a non cedere alla tentazione di dover scappare. Fuggire significa perdere l’appuntamento con la bellezza custodita gelosamente in ogni deserto: «la bellezza è una cosa spaventosa e terribile, spaventosa perché non è definita, ma essa è indefinibile perché Dio ha posto solo enigmi. Dobbiamo cercare di risolvere gli enigmi meglio che possiamo, e cercare di uscire asciutti dall’acqua. Ciò che fa paura è che la bellezza non sia soltanto spaventosa ma anche misteriosa. Qui il diavolo combatte con Dio e il campo di battaglia è il cuore dell’uomo» (Dostoevskij, I fratelli Karamazov).



don Giammaria Canu


Gesù abita il deserto



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