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LA DOMENICA SULLE SPALLE DEI GIGANTI - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 12 Febbraio 2023.


L’atteso disattende le attese.


«Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?», così chiedeva un diavolo che teneva imprigionato un uomo nella sinagoga di Cafarnao. È il primo miracolo che racconta Marco nel suo Vangelo ed è carico di un grande valore simbolico e teologico: la certezza che il nemico di Dio non è l’uomo foss’anche il peggior peccatore, ma il male che inganna l’uomo (si condanna il peccato, non il peccatore, vittima del peccato!); il tema del paradosso del demonio che frequenta con facilità i luoghi di culto (non c’è santo senza la sua lotta interiore contro il male); la domanda del diavolo che diventa la domanda di tutto il Vangelo e di ogni uomo che prende sul serio la propria vita e il suo desiderio di eternità: cosa vuole Gesù da me? Cos’è venuto a fare Gesù per me?

Il Vangelo delle scorse domeniche sembrava istruirci sull’identikit del vero cristiano che, aspetta che sia Dio a rivelargli la via, la verità e la vita prima di inventarsi lui qualcosa su Dio e il suo essere-nel-mondo come essere-per-la-morte (Heidegger). Nove ritratti di beatitudine e due inviti a portare sapore e colore, a salare e a illuminare la vita nostra e delle persone che ci accadono: questo è venuto a consegnare Gesù all’uomo. Domenica prossima Gesù parla di sé: «non sono venuto ad annullare, a demolire, a sciogliere ciò che già vi ha fatti camminare, ma a prendervi per mano e fare un grande salto verso il capolavoro». Questa è la vostra vocazione: non delle Intelligenze Artificiali che obbediscono a comandi (la Legge e i Profeti) e poi come Golem si ribellano contro l’inventore, ma delle opere d’arte plasmate incomplete ma invitate da Dio a volare e saltare alto, nel profondo, verso l’aperto infinito e sconfinato che nessuna Legge può arginare: «Come può uno scoglio, arginare il mare, anche se non voglio, torno già a volare. Le distese azzurre e le verdi terre. Le discese ardite e le risalite su nel cielo aperto e poi giù il deserto. E poi ancora in alto con un grande salto» (Battisti-Mogol). Siete fatti per prendere il largo (sfiorare il profondo). Per progettare ponti e autostrade, non per ripetere le tabelline a memoria tutta la vita. Per diventare mamme e papà, non per aspettare che qualcuno entri in camera la mattina a implorare la sveglia.

Eppure, l’attesa era per un Messia che avrebbe conquistato territori e ricchezze e invece si ritrovano uno che firma una carta d’identità con scritto: «beati i poveri». Le Beatitudini sono il vero inedito di Dio, ma «si può essere aperti agli imprevisti di Dio, solo se si ha il cuore allenato a cogliere e assecondare i piccoli “suggerimenti” che Dio ci mette sul cammino»: così papa Francesco che mentre si trovava a Abu Dhabi a chiacchierare amichevolmente col grande Imam, si ritrova a sottoscrivere con lui un testo per la pace, «un documento di Dio, che nessuno dei due aveva pensato». Quando si ha a che fare col Vangelo succede sempre così: sali su un albero a vedere Gesù che passa e te lo ritrovi in casa tua a tavola e tu cambi vita e diventi san Zaccheo; scoperchi il tetto per far avvicinare il tuo amico paralitico a Gesù taumaturgo e ti rendi conto che la tua fede creativa ha fatto infinitamente di più di una guarigione esteriore: ha perdonato i peccati; cammini deluso verso Emmaus e ad un certo punto ti ritrovi col cuore caldo a tornare indietro perché il crocifisso che ti aveva deluso ha vinto la morte e parla e cena con te; credi di essere zelante nella Legge degli antichi che imponeva di estirpare i seguaci di Cristo e ti ritrovi a viaggiare per il mondo a diffondere il Vangelo della Grazia.

Insomma, per chi frequenta il Vangelo, Gesù più che compimento porta approfondimento della Legge. I tempi erano maturi per innestare il Comandamento dell’amore nel buon terreno delle beatitudini, l’unica legge di cui non ti puoi permettere di perdere nemmeno uno iota, il più piccolo dei dettagli: i dettagli in amore diventano massi che fanno un tonfo assordante nel profondo del cuore. E paradossalmente scegliamo proprio un ebreo per salire a cavalcioni e vedere più in profondità. Si chiama Abraham Joshua Heshel: aprite qualsiasi sua pagina e troverete solo profondità e sapienza. Lui la chiama “teologia del profondo”: «vi sono situazioni nelle quali la dimensione della profondità è assente: la parola è proclamata, il gesto è compiuto, ma l’anima e muta. D’altra parte, vi sono situazioni in cui nulla accade di sensibile ma tutta l’anima è infiammata […]. La teologia formula; la teologia del profondo evoca e fa ricorso a un linguaggio che compatibile con il senso dell’ineffabile, le cui parole non pretendono di descrivere, ma di indicare; di segnalare piuttosto che di catturare».



don Giammaria Canu


F. Rossi, Rompere le regole con la luce (2018).

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