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Un altro capitolo di Vangelo


Cari fratelli presbiteri e cari fratelli e sorelle della comunità diocesana,

vi scrivo cercando di descrivere ancora una volta tutta la tempesta che soffia sul mio cuore di Pastore. Sento che le fatiche di questi ultimi anni vorrebbero strapparmi via dalla mia vocazione di Padre di questa Chiesa. Riconosco la voce potente del Nemico che insinua nel profondo un vortice di pesantezza e di confusione che spesso demotiva e risucchia le energie. E posso confidare che il carico mi ha più volte obbligato a rallentare. Eppure, puntualmente si è manifestata l’immensa creatività dello Spirito Santo che ha risollevato, risanato e riacceso la domanda: «ma io per cosa ci sono?». Do un’occhiata alla mia storia con Dio, sbircio dalle finestre dell’Episcopio ad ammirare i colori della città e la vita che vi scorre, percepisco ogni manifestazione di affetto e di vicinanza come una carezza di Dio e sento forte il richiamo della Quaresima: il soprassalto della verità e della vita infinitamente più grandi di me, la libertà liberante di chiedere aiuto, il sussulto del cuore che sa di non farcela da solo e sta in costante ricerca dell’Alleato.

Ecco. A me questo tempo insegna veramente tanto. Una preziosissima scuola di umiltà, di fede e di verità. E così mi rendo conto di non essermi per niente allontanato dal Vangelo neanche questa volta, quando le preoccupazioni per le accuse, l’angoscia delle sentenze e le lacrime di sconforto tentano di destabilizzare la passione del mio ministero di Vescovo. Questa è veramente la stessa via del Vangelo: un groviglio di sentieri, bivi, salite, voragini e dossi. Niente di più faticoso, e perciò niente di più prezioso da vivere!

Penso così al chicco di grano del Vangelo di questa domenica. Ogni chicco è diverso dall’altro e ciascuno sa di non essere perfetto, di non essere il migliore e di dipendere da qualcun altro. Ma sa anche che dentro di sé è nascosto il miglior frutto che potrà diventare. Questa grande speranza va poi a braccetto con la certezza che «il Signore per gli amici, sposta le montagne». Ce lo ha detto un predicatore qualche giorno fa. Che quindi il seme debba marcire è semplice costatazione della vita che cammina non dribblando né scappando dalle fatiche, ma abitandole. Mentre che quel seme porti frutti, è opera d’intesa del seme col Seminatore. Questo per noi è il tempo in cui l’acre sapore del seme che sta marcendo stuzzica delle profonde domande per dire al mondo chi siamo e che promesse di vita facciamo noi Chiesa di Ozieri. La gratitudine verso le centinaia di persone che hanno fatto giungere il calore dell’affetto e della solidarietà mi obbliga a leggere col Vangelo quello che abbiamo sempre fatto, proprio nei confronti delle povertà che abitano il nostro territorio e che continuiamo a fare con spirito di carità per non privarle mai delle necessarie cure della comunità diocesana.

Cari amici e care amiche che toccate ogni giorno con mano la bontà della nostra pastorale! Con chiarezza e animo fermo devo affermare che i poveri, ogni povero e ogni faccia della povertà è sempre stata una scelta preferenziale per questa Chiesa di Ozieri. È trasparente e non negoziabile la finalità degli aiuti della CEI: la premura attenta e delicata verso gli svantaggiati del nostro territorio, verso le disabilità emarginate del mondo professionale, verso i disoccupati, padri e mamme di famiglie schiacciati dalla disperazione, i giovani che faticano a trovare una collocazione dignitosa per iniziare a progettare il futuro. Questo prezioso servizio abbiamo sempre cercato di donare attraverso la Caritas diocesana che mi pregio di presiedere e attraverso il suo “braccio operativo”, la SPES, la cooperativa sociale di tipo B nata proprio per il reinserimento lavorativo di persone dai vissuti travagliati. Siamo profondamente grati alla CEI che ci ha sempre dato fiducia permettendoci di portare avanti tanti di questi progetti. Sono tutti in queste attività professionali e caritative i 2 milioni di euro dell’8x1000 arrivati globalmente in questi 10 anni di lavoro con gli svantaggiati.

La mia gratitudine e il mio affetto, in questo momento, sono rivolti ai presbiteri e laici che hanno fatto del servizio al povero un’autentica scelta di vita, una vocazione nella vocazione, un modo di vivere e far vivere il Vangelo. Su questa missione mi sento di non cedere di un millimetro, anzi, invito tutti voi a vivere questa ferita come una decisa opportunità: curiamo ancora meglio e con maggior passione e gioia ogni nostra relazione con i poveri! È la stessa passione e la stessa gioia del Vangelo.

Sento infine forte in questi giorni almeno tre importanti certezze: il popolo di Dio della nostra Chiesa diocesana conosce personalmente i suoi sacerdoti e riconosce anche il loro quotidiano spendersi per far crescere il Vangelo nelle comunità; ci sentiamo lusingati dai messaggi che vengono dalle chiese sorelle che conoscono la nostra realtà e hanno sempre stimato l’aria fraterna, onesta e laboriosa che si respira tra i presbiteri e tra i laici della diocesi di Ozieri; siamo uomini e donne di fede, di preghiera e di azione, in costante cammino verso il Regno, con cadute e accelerate, ma con la forza di camminare assieme lasciandoci portare dal vento dello Spirito Santo che guiderà verso la verità anche questa pagina della nostra storia.

Cari amici e amiche. Non siamo fatti per sostare nel Venerdì Santo e il mattino di Pasqua risplenderà ancora più prorompente. Non scappiamo via dalla possibilità di scrivere assieme nuovi capitoli del Vangelo e fidiamoci veramente della fantasia dello Spirito che sa inventare vita dove c’è delusione e dolore: «quando siamo deboli, è allora che siamo forti» (2Cor 12,10).



+don Corrado, padre e vescovo





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