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DICEVANO I PADRI - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 11 febbraio 2024.


Le sporgenze di Dio.


Marco, come Paolo, è convinto che «quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono» (1Cor 1,27-28). Cioè: Dio non è esattamente così, fermo, immobile, rigido e già bello tondo e definito. Pagine come quelle della Parola di Dio di domenica prossima incoraggiano a passare dal Dio sferico, levigato, eterno e immutabile della metafisica, al Dio che sporge, il Dio di Gesù, e il Dio del lebbroso del Vangelo: «La potenza divina che Aristotele, al culmine della filosofia greca, cercò di cogliere mediante la riflessione, è sì per ogni essere oggetto del desiderio e dell’amore — come realtà amata questa divinità muove il mondo—, ma essa stessa non ha bisogno di niente e non ama, soltanto viene amata. L’unico Dio in cui Israele crede, invece, ama personalmente. Il suo amore, inoltre, è un amore elettivo: tra tutti i popoli Egli sceglie Israele e lo ama — con lo scopo però di guarire, proprio in tal modo, l’intera umanità» (papa Benedetto in Deus Caritas est). Domenica prossima sarà un lebbroso l’eletto, amato, ascoltato, toccato, purificato da Gesù che andrà in giro a raccontare che proprio Gesù aveva guarito l’inguaribile, toccato l’intoccabile, purificato il definitivamente impuro.

Questo è il Dio di Gesù: un Dio che sporge, rischia e trasgredisce i precetti umani. Gli importano le persone, e soprattutto gli scarti degli uomini, le ferite e le lebbre appiccicose che abbrutiscono la sua creazione: «la porta di scambio tra il finito e l’infinito sono “le ferite”» (d’Avenia).

Leggendo quel testo si intravvede da subito che le cose non sono tutte in ordine, quadrate e al loro posto. I verbi stridono immediatamente perché sporgono fuori dal recinto della legge: un lebbroso, si avvicina, lo supplica ai piedi, osando dire: «se vuoi, puoi guarirmi». Una professione di fede: «tu, creatore del mondo, puoi anche questo, ma per realizzarlo lo devi pure volere». Ed è commovente la tenerezza finissima e travolgente di un Dio che si lascia suggerire cosa fare e anzi, cosa desiderare di fare. Cioè: un lebbroso capace di intervenire sul volere di Dio, di insinuare nuove possibilità sulle pianificazioni del Creatore, di modificare i sogni del Redentore. Quella volta, “il migliore dei mondi possibili” (Leibniz) non era nei piani di Dio, ma era suggerito dall’uomo, dall’uomo frantumato dal dolore, dalle sue ferite in putrefazione. Questa cosa è possibile per chi intuisce le vie di Dio e si mette in cammino nella stessa direzione: «beato l’uomo che trova in te il suo rifugio e ha le tue vie nel suo cuore» (Sal 84,6). Per un istante Dio si ferma, tentenna e rimette mano ai suoi disegni: un uomo marcio di ferite e fetido di piaghe aveva osato chiedergli: «ma tu da che parte stai? Che razza di Dio sei? C’è spazio per me nel tuo cuore? Sono anche per te un caso perso, un grumo di carne da mandare al macero, un errore della natura, un granello di sabbia nel sofisticato ingranaggio perfetto dell’umanità? È veramente tua la sentenza che tutti dicono: sei uno scarto, un perdente, uno da evitare, uno spreco di energie per il creatore (e per lo Spirito Santo)?

E Gesù si trova sull’angolo del ring. Quel lebbroso non gli chiedeva di guarire ma di essere purificato. Non gli interessava la sua pelle, ma la sua relazione con Dio. Gli avevano detto che la sua separazione dalla città e dalla gente era solo il segno della separazione abissale tra lui e Dio. Era un ragionamento del tipo: facciamo già tanta fatica a stare vicini a Dio noi che siamo puri, sani, scrupolosi, zelanti e benedetti da Lui, figurati tu che parti impuro, lebbroso, peccatore, e maledetto! Tu, Dio, lo devi proprio dimenticare, come Lui ha fatto con te!

Davanti a quel pugno allo stomaco, Gesù risponde tendendo la mano. Dio che sporge, come un bambino sul balcone dell’umanità. Vuole toccare con mano per cambiare il verso di quella storia straziante, ormai arrivata agli ultimi giri di giostra. Quelle mani, a detta di Marco sono il prolungamento dell’utero, letteralmente: «essendosi mosso l’utero materno (di Dio) a compassione, stese la mano». Sono le mani onnipotenti della misericordia. Le mani più potenti che Dio ha mai usato, ancora più potenti di quelle della creazione.

Da quel momento, è la vita a dover parlare di Dio, non bastano le sole parole. Serve il Vangelo della vita: «Guarda di non dire niente a nessuno», ammonisce invano Gesù al lebbroso purificato. Avevano fatto parlare troppo Dio con i precetti umani, ma ora era il tempo dei fatti, anzi del “Fatto” diventato persona, Gesù di Nazareth. Come dicevano i Padri conciliari nella Dei Verbum (n.2): «Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto».




don Giammaria Canu


C. SCHWARZ, Foto della Creazione di Adamo (Michelangelo) ripresa con l’intelligenza artificiale (2018).

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