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DICEVANO I PADRI - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 7 aprile 2024.


Ciò che è mio è vostro.


50 giorni a disposizione per cucire la scoperta della tomba al fuoco dello Spirito Santo. Un giorno che ne dura 50 perché possiamo fare una sana scorpacciata delle cose di Dio: la vita, la pace, il perdono… eterni. Pasqua (pesah) vuol dire passaggio «e passaggio è passare. E passare vuol dire due cose, vuol dire andare, passeggiare, muoversi, ma anche porgere, anche dare, donare… vi auguro di passare, di passare agli altri la vostra gioia, di passare la vostra gentilezza, di passare il sale della vita al tavolo che vive scondito, di passare a tutti i doni che avete ricevuto» (Gio Evan). Nella Pasqua c’è qualcosa che è ormai passata e che libera il futuro, Qualcuno che passa a visitare il luogo delle paure, Qualcuno che passa i tesori più preziosi di Dio, Qualcuno che lascia che anche tu passi da un Avanti Cristo a un Dopo Cristo.

Se nel Natale ciò che è mio lo passo a Dio, nella Pasqua, ciò che è di Dio passa a me.

E siccome io neanche arriverei a immaginare che qualcosa di Dio possa diventare mio (al massimo posso pensare di prendere il suo posto come è stato fin dal peccato originale), è Dio che prende l’iniziativa: «la sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù». E inizia così la consegna dei doni.

«Ciò che è mio è vostro». Vostro di voi discepoli. Si, proprio di voi che una settimana e mezzo prima, proprio in questo luogo, ho chiamati “amici”, «perché un servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). Proprio di voi che ora non sapete se siete più schiacciati dalla paura dei Giudei o dal ri-morso di avermi lasciato solo a morire come un cane. Vi consegno il regalo più bello: la certezza che ciascuno di voi non vale perché lo merita, ma è amato perché vale, prima di ogni merito, di ogni tradimento e di ogni fuga da me. Il mio amore precede, accompagna e segue ogni vostra scelta, ogni vostra caduta e ogni vostra risurrezione.

«Ciò che è mio è vostro». Vostra è la pace, la mia pace: «Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). È la pace che serve per affrontare le vostre paure. È la pace che viene dalla fede pasquale che lascia vibrare nel cuore la certezza che Dio saprà farvi trovare risorse, persone e strade per non soccombere e che niente e nessuno potrà schiacciare la vostra vita fino a distruggerla, ma che tutto, compresa la cattiveria umana, le guerre, le ingiustizie e le incomprensibili malattie, lutti e tradimenti possono essere affrontati e fatti risorgere, perché «la nostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3). Con la Pasqua vi offro un cammino per liberarvi dai ricatti del mondo e per riconoscere che siete fatti per la vita eterna, siete fatti già, qui e ora, di vita eterna.

«Ciò che è mio è vostro». Vostre sono le mani e il fianco. Vostre sono le mie ferite e le ferite di tutto il mondo. A voi affido ogni ferita sulla carne dell’uomo: «come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Andate a fasciare le ferite in giro per il mondo. Tutte le ferite, senza graduatorie né sbrigative panacee, ma sostando in adorazione di ogni carne lacerata. Fidatevi della Pasqua: sarete capaci di raccontare e contagiare gioia e pace anche là dove disperazione, sofferenza e morte sembrano boicottare il futuro. Fidatevi che anche attraverso le ferite può filtrare la luce. Fidatevi che anche nel baratro più profondo è nascosto un seme di pace che può germogliare, crescere e portare frutto. Fidatevi perché senza la Pasqua è proprio da stupidi leggere con banale ottimismo il male annidato nel cuore degli uomini.

«Ciò che è mio è vostro». Compreso il mio respiro, il mio alito, il mio ruah, anzi, la mia ruah, la mano creatice e rigeneratrice del Padre che è sempre incinta come le sue viscere (rahamim), pronte a partorire misericordia. Questo Spirito che è tutto gravido e creativo, come una donna che non smette di partorire. Io l’avevo promessa e ora ve la soffio addosso perché possiate anche voi «misericordiare» (Papa Francesco), restituire la vita dove il male, il peccato, la morte del cuore hanno accusato di fallimento, non senso e nullità la vita degli uomini. Da soli non siete capaci di resistere all’Accusatore (Satan in ebraico). Per questo vi mando il Difensore, il Paracletos, lo Spirito che scagiona e ricrea nuove possibilità di vita.

«Ciò che è mio è vostro». Vostro è anche Tommaso, vostro gemello. Tommaso di cui il filosofo e pensatore cristiano Ammonio di Alessandria disse: «Tommaso non credeva al loro racconto della risurrezione, come se fosse irragionevole. Non disse ciò tanto per incredulità, ma per dolore, perché egli stesso non era stato ritenuto degno di vedere il Cristo risorto. Il fatto che Tommaso non abbia creduto rientra nel disegno di Dio, perché tutti noi potessimo sapere attraverso di lui che è stato risuscitato proprio il corpo del crocifisso».


don Giammaria Canu




C. Parmiggiani, Luce luce luce (1968).

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