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DI DOMENICA IN DOMENICA - a cura di don Giammaria Canu

Domenica, 14 febbraio 2021


Un Dio a mano tesa.


Di domenica in domenica Gesù tende la mano per liberare: la scorsa domenica alla suocera di Pietro e la restituisce al progetto di Dio («ed ella li serviva», perché quando si ha a che fare con Dio servire, amare, donare è il più alto gesto di libertà); domenica prossima, al lebbroso che supplica Gesù ed è restituito alla sua vocazione («si mise a proclamare e a divulgare il fatto», perché, direbbe san Paolo: «guai a me se non annuncio il Vengelo!»).

Osservazioni sulla mano di Dio protesa.

Punto numero zero. Quella mano ha il sapore dell’incarnazione, cioè della passione di Dio per la carne dell’uomo, cioè dell’inguaribile desiderio divino di smettere di restare imprigionato tra le nuvole e diventare reale, anzi realissimo, concretissimo e percepibilissimo, come si percepisce l’invisibile palpito del cuore di una mamma durante una nottata di veglia per il suo piccolo con la febbre o come si percepisce il grido interiore di un uomo contratto dal dolore lancinante di una malattia. Dio, nella sofferenza umana, è più a portata di mano. È evidente che non si tratti di una percezione coi sensi esterni, ma è una mano che si protende ed emerge dalle profondità recondite della nostra vita, dove è tutto immensamente vero, perché ogni cosa rivendica gesti e sguardi di cura, attenzione e amore. È da quella profondità che emerge la mano di Dio.

Punto primo. Nessuna irruenza ma tanta cura, delicatezza e tenerezza in quella mano tesa. «I vecchi quando accarezzano, hanno il timore di fare troppo forte», cantava De Andrè dipingendo con un’acutezza di profonda poesia il gesto timido, tremolante e dolce di Giuseppe che accoglie il racconto misterioso dell’annunciazione fattogli dalla promessa sposa Maria. Dio è così: si affianca alla sofferenza della sua creatura con la paura di premere troppo, di stringere troppo forte, di afferrare causando lividi. La stessa mano che ha creato le galassie si adagia nel volto delle pene umane e prende la forma delle sue piaghe. È questo il modo divino di vincere il male: non tanto fare, quanto restare; non azioni potenti sul corpo, ma interminabili nottate di veglia insieme; non interventi a gamba tesa, ma carezze a mano tesa. Per Dio la carne piagata è il pretesto, la scusa, l’alibi per smettere di sembrare un burattinaio (parole simili le usa Bonhoeffer).

Secondo. La guarigione interiore inizia sempre e solo se c’è una mano tesa. Un’altra strategia pedagogica della misericordia divina è lasciare spazio ai suoi figli: si ritrae per fare in modo che i suoi figli diventino fratelli tutti. Non è un “lavarsene le mani”, ma al contrario, un prestare le sue mani, affidarle con fiducia a chi può essere un cristoforo, teoforo, pneumatoforo, un portatore di Cristo, di Dio, dello Spirito di consolazione. Sant’Ireneo diceva che Cristo e lo Spirito Santo cono come le due mani del Padre, ma queste due mani, una volta entrate ad abitare la storia non smettono di moltiplicarsi e raggiungere come dei tentacoli ogni piega della carne frastagliata e oppressa. Siamo noi i capillari del sistema vascolare della Grazia: se un capillare si impigrisce, una porzione dell’umanità rimane non raggiunta dalla mano di Dio, non irrorata dalla sua dolce presenza. Ribadiamolo forte: guai a noi se omettiamo di essere Vangelo in una situazione che urla la presenza della mano di Dio («ero ammalato e non siete venuti a trovarmi!», ci ripeterà Gesù che alla sera della vita ci giudicherà sull’amore).

Terzo. La mano tesa è l’inchino, la genuflessione di Dio davanti all’intensità del dolore umano. La sofferenza è l’esperienza più seria che possa capitare all’uomo. E per questo è anche l’esperienza più vera. Racconta la fragilità dell’uomo e gli anticipa la sua mortalità: «ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai», tuonerà inesorabile tra qualche giorno la sentenza del Mercoledì delle Ceneri. E ben ragione avevano i greci a chiamare gli uomini “i mortali”, cioè quelli che si portano appresso per tutta la vita la minaccia della morte. Malattia, sofferenza, fallimenti umani, lungi dall’essere visti da Dio come una sadica punizione per i peccati, sono invece per lui momenti di adorazione, di profonda passione e mesta preghiera, imbevuta dalla promessa che neanche il peggior male può strapparci dal suo amore (San Paolo) e dalla sua mano.



don Giammaria Canu


Rodin, La main de Dieu (Parigi, 1902).

La mano di Dio che emerge dall’abisso e tiene il groviglio di vita che cerca di svincolarsi dalla durezza fredda e deforme del masso di pietra.



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